Cape Epic finita: ma adesso cosa succede alle gambe?

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Cape Epic finita: ma adesso cosa succede alle gambe?

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Il programma di questa gara a tappe parla da sé: otto giorni di competizione e una distanza complessiva di circa 700 km con oltre 15.000 metri di dislivello. Viene corsa anticipando importanti appuntamenti del calendario internazionale e risulta spontaneo chiedersi se per i professionisti delle ruote grasse sia utile affrontare una gara così dura, se venga addirittura inserita per rifinire la preparazione e quali siano i tempi di recupero successivi.

Perché i pro' vanno lì?
E' molto importante per i professionisti avere dei riferimenti e confronti diretti con gli avversari prima delle gare di Coppa del mondo (senza contare l’importanza di una “vetrina agonistica” con ritorno mediatico internazionale).
Riteniamo che la partecipazione alla Cape Epic venga interpretata dai biker più che come allenamento, come un importante verifica. Scorrendo la classifica troviamo i migliori atleti al mondo del settore Xc e Marathon a dimostrazione di un livello elevatissimo della competizione. Per completare una preparazione basterebbe semplicemente programmare un ciclo mirato di allenamenti e qualche gara nazionale, potendo far conto anche su tempi e modalità di recupero migliori.

I vincitori: Sauser e Kulhavy Foto di Nick Muzik/Cape Epic/SPORTZPICS

I vincitori: Sauser e Kulhavy Foto di Nick Muzik/Cape Epic/SPORTZPICS

La Cape Epic spaventa tutti
Possiamo affermare che dal punto di vista fisiologico la Cape Epic rappresenta uno stress elevatissimo, che può mettere in serie difficoltà anche i migliori. Oltre alla distanza e al ritmo elevatissimo dobbiamo considerare le difficoltà logistiche e tecniche di ogni tappa in cui, nonostante un'organizzazione molto curata e affidabile, i biker possono trovarsi ad affrontare inconvenienti meccanici e fisici lontani dall’assistenza quindi costretti ad arrangiarsi autonomamente. Questo determina spesso grandi cambiamenti della classifica generale che può essere sconvolta ogni giorno.
Si sommano così le fatiche fisiche della competizione ad altri importanti stress che rischiano di portare gli atleti in “riserva”.

Il ritorno al clima europeo rallenta il recupero
Consideriamo anche il fatto che se, scendendo in Sudafrica, gli atleti europei trovano condizioni meteo diametralmente opposte a quelle del nostro continente (con l'aggravante del meteo in Europa di questo mese). Al ritorno, l’adattamento a condizioni fredde e umide può non essere facile, aumentando ulteriormente i tempi di recupero generale.
E’ quindi fondamentale prevedere e pianificare non solo la preparazione della gara, ma soprattutto analizzare attentamente la condizione del biker al termine delle tappe. I carichi di lavoro successivi vanno programmati attentamente, inserendo in modo graduale i richiami specifici, ma soprattutto favorendo un completo recupero neuromuscolare e il totale ripristino delle scorte energetiche. Se l’atleta ha terminato la competizione con una buona condizione basteranno pochi giorni per recuperare in modo completo e probabilmente il lavoro svolto andrà ad ottimizzare e rifinire la preparazione svolta precedentemente.

Karl Platt e Urs Huber cercano di arginare il distacco inflittogli dal duo di testa. Foto di Greg Beadle/Cape Epic/SPORTZPICS

Karl Platt e Urs Huber cercano di arginare il distacco inflittogli dal duo di testa. Foto di Greg Beadle/Cape Epic/SPORTZPICS

Fino a due settimane
Se invece la gara viene completata con difficoltà (graduale calo energetico e prestativo) possono volerci anche un paio di settimane per riportare il biker in condizioni ottimali. Parliamo ovviamente di atleti di altissimo livello allenati sia al carico che al recupero. Nel caso di biker di livello amatoriale (sono molti gli iscritti a questa gara) i tempi di recupero sono ovviamente più lunghi e vanno comunque attentamente studiati come nel caso dei biker pro'.

Saverio Ottolini
SportAttitude.it

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