Abus e il Made in Italy: una storia di successo, dal 1994 ad oggi

Giovanni Bettini
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Abus e il Made in Italy: una storia di successo, dal 1994 ad oggi

Giovanni Bettini
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Abus e il Made in Italy. Un binomio che in meno di dieci anni ha portato il marchio tedesco ad essere uno dei brand più desiderati per quanto riguarda i caschi da ciclismo d’alta gamma.

Le ragioni di questo successo sono da ricondurre ad una lungimirante visione a lungo termine sostenuta dall’artigianalità industriale italiana.
Andiamo con ordine...

1994: il primo casco e la voglia di diventare grandi

La storia di Abus (August Bremicker Söhne KG) inizia 100 anni fa.
Nel 1924 August Bremicker, assieme ai suoi figli, avvia la produzione di lucchetti nel seminterrato di casa. Il primo modello si chiama Iron Rock (foto sotto) e dà il via a questa realtà che ancora oggi conserva la conduzione familiare.

I caschi da ciclismo debuttano nel 1994: si chiamano Ultra-Safe (foto sotto), Mega-Power (sotto la pagina del catalogo) e Fun.
Tutti i modelli sono Made in China e sono proposte di gamma medio-bassa.

La svolta arriva a fine 2015: Abus decide di posizionarsi sulla fascia alta del segmento sport conservando la linea urban e bambino.

Per dar pieno respiro al progetto di espansione è doveroso associare il marchio ad una delle realtà più in vista del ciclismo mondiale.
Vengono avviati i primi contatti con il Movistar Team che in fase di trattativa non chiede un casco qualsiasi, ma Made in Italy.

Abus bussa così alla porta di Maxi Studio, realtà di Camisano Vicentino (VI) attiva nella produzione di lavorati termoplastici fondata nel 1993 dai fratelli Oliver e Massimo Simonaggio.

Le creazioni dell'azienda veneta sono impiegate in diversi settori: dai gusci delle valigie, ai frontali delle macchine automatiche passando per le macchine industriali (rasaerba, mini escavatori, trattorini da giardino, etc.) e, non da ultimo, i gusci in policarbonato per i caschi da ciclismo, snowboard, sci, equitazione, arrampicata e rafting.

Questo biglietto da visita piuttosto sostanzioso spinge Abus a chiedere un casco finito.
Maxi Studio si mette all’opera, implementando l’intera filiera: dalla messa in forma dell’EPS della calotta interna passando per l’assemblaggio e il confezionamento.

Viene prodotto così il GameChanger che ad oggi è ancora utilizzato "sotto traccia" da Mathieu Van Der Poel.
Tutti i dettagli di questa sfumatura nell’articolo qui sotto.

Nel 2018 Abus in collaborazione con Maxi Studio presenta ad Eurobike il casco aperto AirBreaker.

I modelli riscuotono un successo planetario anche grazie alle gesta dei team sponsorizzati.
A livello commerciale la collaborazione tra Abus e Maxi Studio è sempre più forte: Maxi Studio ha in Abus il suo cliente principale, di contro Maxi Studio è un partner strategico nella fase di riposizionamento del brand.

Allo stesso tempo però l'azienda vicentina continua ad essere fornitore di primo livello di note realtà legate al mondo del ciclismo. 

A questo punto in Germania fanno due conti e fiutano le potenzialità di questa collaborazione.

Giugno 2021: Maxi Studio viene acquisita al 100% da Abus. Ai siti produttivi tedeschi di Wetter, Rehe, Hege, Pfaffenhain e Affing si aggiunge quello italiano votato ai caschi di alta gamma, che nascono per l'uso su strada ma sono ideali anche per un uso Xc/marathon.

Abus e il Made in Italy: si pensa in grande

Dal presente al futuro. Tra Abus e il Made in Italy siamo di fronte ad un nuovo inizio… 


Il filo rosso che unisce Germania e Italia, infatti, non ha solo a che fare con gli affari.
In occasione della presentazione del GameChanger 2.0 in quel di Bassano del Grappa (VI), avevamo rilevato un marcato sentimento d’affetto nei confronti del nostro paese da parte di Daniel Bremicker, Direttore Generale di Abus. 

Sentimento che apre a nuove ed interessanti prospettive così come ci ha confermato Andrea Cecchinato, CEO di Abus Maxi Studio S.r.l (foto sotto).

«C’è in ballo la costruzione di un nuovo stabilimento da 4.000 mq a pochi passi da Camisano Vicentino. L’intenzione è quella di spingere sulla sostenibilità e l’automazione dei processi unendo la filosofia green ad un aumento della capacità produttiva».

«Ad oggi Abus Maxi Studio - continua Andrea - impiega 95 persone. L’85% del fatturato proviene dal settore caschi da ciclismo. La produzione conto terzi (OEM, n.d.r.) rimane attiva così come le forniture extrasettore: macchine per gelato, valigeria, plafoniere per corpi illuminanti…»

Il rapporto tra Abus e il Made in Italy ha a che fare con il contenimento del rischio ma non solo.

«Da un lato il blocco parziale o totale delle filiere asiatiche unito a situazioni geopolitiche instabili continua ad influire sul prezzo finale e sul costo dei trasporti con conseguenze poco piacevoli per il mercato europeo, principale panorama per Abus - precisa Andrea -. Vista da un’altra prospettiva questa situazione ci ha permesso di spingere ancora di più sulla ricerca, l’innovazione, l’alta qualità».

«Dal 2021 abbiamo quintuplicato le risorse umane dell’ufficio tecnico internalizzando tutte le attività di sviluppo. A breve metteremo a regime un laboratorio per i test d’impatto. La filiera diventerà così ancora più corta. Avere progettazione, sviluppo e produzione sotto lo stesso tetto apre ad un pieno controllo di tutti i processi».

«Viene garantita, inoltre, una buona dose di flessibilità che si traduce non solo in una risoluzione più rapida dei problemi.
Pensiamo ad esempio alle innumerevoli opzioni colore disponibili. Si tratta di un valore percepito dall’utente finale.
Non da ultimo questo approccio permette di dar vita a edizioni limitate o lavorazioni custom, come i caschi dedicati ai pro’ al Tour de France, in meno di due settimane».

Per maggiori informazioni sui caschi Abus: www.abus.com/it.
Qui trovate tutti i nostri approfondimenti e test sui caschi Abus da Mtb.

Se volete scoprire come viene prodotto un casco Abus Made in Italy non perdetevi l'articolo e il video qui sotto:

Qui invece trovate la gamma Abus per le discipline gravity:

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Sull'autore
Giovanni Bettini

"I poveri sono matti" diceva Zavattini. Anche i ciclisti oserei dire. Sono diventato "pazzo" guardando Marco Pantani al Tour de France 1997 anche se a dire il vero qualcosa dentro si era già mosso con la mitica tappa di Chiappucci al Sestriere. Prima le gare poi le esperienze in alcune aziende del settore e le collaborazioni con le testate specializzate. La bici da strada è passione. E attenzione: passione deriva dal greco pathos, sofferenza e grande emozione.

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