ALLOS - Fred Glo è ritenuto dagli addetti ai lavori l'inventore della formula enduro nella Mtb. Ha iniziato per caso, per divertimento e per la voglia di sperimentare qualcosa di nuovo nel 2003 (erano gli anni del boom delle Megavalanche, ideate da un altro francese, George Edward) e dalla Val d'Allos ha iniziato a diffondersi il virus dell'enduro in tutto il mondo. La Francia è rimasta fedele al formato di gara in stile downhill-marathon, quindi una discesa molto lunga e non troppo tecnica.
L'obiettivo era divertirsi in discesa e sfruttare gli impianti di risalita delle stazioni sciistiche francesi anche d'estate. In Francia di impianti ne hanno tantissimi e allora perché non utilizzarli? Detto-fatto.
In Francia ci sono le Alpi, ovvero dislivelli notevoli per peak-to-creek (dalla vetta al fondovalle) fantastici, e allora perché non sfruttarli?
Detto-fatto.
Ecco l'enduro.
Alla francese, però. Con percorsi lunghi per stare in sella di più e divertirsi di più, ma pedalando poco in salita.
Questo è l'imprinting dato da Glo e ha caratterizzato la gara di Allos dell'Enduro World Series. Nel bene e nel male.
L'opinione degli stranieri
La cosa che a detta di tanti big ha funzionato a Val d'Allos è stata proprio l'assenza di ricognizioni massicce come a Punta Ala. C'è stato chi ha provato (si vocifera Vouilloz e Barel) anche se i tracciati non erano stati ufficializzati e segnati, ma potendolo fare chi non lo avrebbe fatto?
Sulla legittimità delle ricognizioni pregara si discute e si discuterà ancora durante questa stagione che, ricordiamolo, è quella dell'edizione numero uno dell'Ews. Anzi, forse la numero zero, perché quest'anno l'Ews sta cercando di evidenziare e riunire le tante sfaccettature dell'enduro nel mondo sotto la propria egida. Una bella impresa.
Come edizione zero, quindi, è suscettibile di affinamenti (e probabilmente, conoscendo la lungimiranza e l'intelligenza di Chris Ball, lo sarà sempre), ma porta anche tanti spunti di riflessione e di miglioramento.
Fred Glo ieri, a bocce ferme, era contento che le cose fossero andate come si aspettava. C'erano oltre 1000 persone nella lista di attesa e le iscrizioni alla sua gara si sono esaurite in due ore. Un successo. 310 partenti.
«Non ne possiamo mettere dentro altri - ha commentato - non ce la si farebbe con gli impianti di risalita».
Nonostante questo grande numero di esclusi, le cose per Glo vanno bene.
«E hai visto che Minnaar, Graves, Wildhaber e altri top rider nonostante abbiano provato il percorso una volta sola, sono entrati nei primi 10? Guarda quanti sono i francesi nei primi 10: Vouilloz, Absalon, Clementz e Gracia. Se il risultato non arriva non dipende dalle ricognizioni solamente...».
E questo è vero, ma è anche vero che il podio è composto da fuoriclasse: Vouilloz, Graves e Minnaar.
Ovvero atleti che a capacità di guida fuori dal comune aggiungono una preparazione fisica da professionisti.
La teoria di Glo, però, è condivisibile.
Quindi, da una parte è vero che i francesi conoscevano meglio di tutti il tracciato, ma è anche vero che di francesi nei primi 10 o 15 arrivati non ce ne sono in misura così massiccia come ci si poteva aspettare (5 per l'esattezza).
Prima conclusione: le ricognizioni ovvero la confidenza con il percorso non ha fatto una grandissima differenza. La differenza l'hanno fatta la capacità di guida e di "lettura" del percorso.
La lunghezza delle prove
Davide Sottocornola, Manuel Ducci e Alex Lupato sono i tre rider italiani che hanno fatto meglio ad Allos, ma in assoluto i risultati non gli fanno onore.
Il cronometro però può portare una spiegazione (in verità parziale) a questa defaillance: in Italia le Speciali durano molto meno, anche tre-quattro volte meno di quelle di Allos (e di quelle francesi in generale), quindi gli atleti non sono preparati ad uno sforzo prolungato ed intenso.
Risultato?
Si cerca di andare a manetta per tutto il percorso, specie all'inizio, arrivando "cucinati" a fine Speciale, con il rischio di sbagliare e/o di forare che aumenta.
Premesso che hanno sbagliato e forato anche nomi illustri ad Allos, la domanda che ci si pone è: ma perché gli stranieri hanno sofferto meno da questo punto di vista?
Possibili risposte: perché gli stranieri hanno più occasioni di confronto in giro per il mondo (e il confronto arricchisce a livello sia di morale che di capacità tecnico-atletiche), perché il livello agonistico al di fuori dell'Italia è più alto (molti dei nomi nella top ten di Allos vengono dalla scena gravity notoriamente dominata dagli stranieri) oppure perché il tipo di preparazione è differente.
Gli italiani sono tarati per il format Superenduro che ha un'innegabile valenza internazionale. Ma non basta più.
Ad Allos gli italiani avrebbero già dovuto correre in passato, se è vero che Allos è una delle capitali dell'enduro, per arrivare sul posto di gara con le idee più chiare.
Ma non solo.
I nostri atleti, per quanto preparati atleticamente, o non sono dei pro' a tutti gli effetti (vedi Ducci, Sottocornola, Gambirasio, Macheda, Pastore, Raimondi, Orbassano e Casadei per citare quelli presenti ad Allos), oppure se lo sono hanno ancora delle lacune (colmabili) sulla tecnica di guida (vedi Lupato).
Che cosa manca agli italiani?
Avete letto l'intervista a Nicolas Vouilloz? Se non lo avete fatto ve la riproponiamo in questo link, ma fra le tante cose che ha detto, una, in questo momento, spicca in maniera netta.
«…torno ad allenarmi in bici, in palestra oppure in bmx…».
Vouilloz, fenomeno planetario della Mtb, si allena ancora in bmx.
Domanda successiva: quante piste di bmx ci sono in Italia? Non si arriva a contarne 10.
E in Francia? Svariate migliaia.
La differenza è abissale.
La differenza con gli stranieri, francesi e non, è alla base.
Ciò che serve alle discipline della Mtb è un ente che si occupi di alimentare e formare il vivaio. Serve una Fci che, dopo i bei risultati ottenuti con i giovani nell'Xc (vedi la Val di Sole e i recenti campionati europei), inizi a guardare al settore abilità (nel quale rientrano bmx, Dh e speriamo un giorno anche l'enduro) con più lungimiranza.
Come fanno svizzeri e francesi, per restare intorno ai confini italiani.
Alla luce di tutte queste considerazioni, quindi, ai vari Ducci e Sottocornola è difficile chiedere di più, anche se sappiamo che quel di più stanno già cercando di tirarlo fuori alle prossime gare.
Ricapitolando…
Cosa serve all'enduro italiano per crescere? Ecco alcune proposte.
1 - Il confronto con gli stranieri: non basta misurarsi con loro nelle gare nostrane, andiamo a correre da loro, anche al di fuori dell'Ews, e vediamo su quali terreni gareggiano e come li affrontano.
2 - Un appoggio-supporto in chiave enduro dalla Fci che va ragionato e costruito da zero.
3 - Gli atleti vanno sempre rispettati: sono loro la nostra identità agonistica, il riferimento per gli appassionati e l'immagine di qualunque disciplina sportiva. E, non dimentichiamolo, sono loro che faticano (a volte più dei pro') per portare a casa anche risultati mediocri. Ad Allos poteva andare meglio e abbiamo cercato di spiegare le ragioni.
4 - Serve una base di promozione vera per l'enduro: il Superenduro è il faro del movimento, ma al di sotto cosa c'è? Anche qui si chiama in ballo la Fci, ma anche persone di vera competenza e passione.
Queste sono quattro proposte, non le uniche possibili, per accelerare la crescita dell'enduro in termini di qualità e di quantità dei praticanti. Siamo certi che ci sarà un seguito fra gli addetti ai lavori ai quali, se vorranno, lasciamo uno spazio per intervenire a questo link.
Condividi con
Tags
Sull'autore
Simone Lanciotti
Sono il direttore e fondatore di MtbCult (nonché di eBikeCult.it e BiciDaStrada.it) e sono giornalista da oltre 20 anni nel settore delle ruote grasse e del ciclismo in generale. La mountain bike è uno strumento per conoscere la natura e se stessi ed è una fonte inesauribile di ispirazione e gioia. E di conseguenza MtbCult (oltre a video test, e-Mtb, approfondimenti e tutorial) parla anche di questo rapporto privilegiato uomo-Natura-macchina. Senza dimenticare il canale YouTube, che è un riferimento soprattutto per i test e gli approfondimenti.