Che cosa ci fanno un servizio da tè e un paio di guanti di pizzo fra le ruote delle mountain bike che hanno fatto la storia?
Me lo sono chiesta quando ho visitato il Museo della Mountain Bike a Fairfax, nella Contea di Marin, in California.
Là dove tutto è iniziato.
Dove la mountain bike è già storia, fatta di individui eccezionali che hanno lasciato il segno nell’evoluzione di questo modo di andare in bici (chiamarlo sport sarebbe riduttivo).
Rispondere alla domanda iniziale significa scoprire la storia di una biker e donna ineguagliabile che risponde al nome di Jacquie Phelan.
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Il giorno in cui Jacquie Phelan scoprì lo sterrato
È il giorno del Ringraziamento del 1980.
Jacquie Phelan si presenta al raduno dei rider che si accingono ad affrontare il Pine Mountain Loop, il cui percorso interseca quello della Repack Race, la downhill dei “pionieri” della Mtb.
Sarà il suo primo percorso off-road, e Jacquie si appresta ad affrontarlo con una Raleigh Sprite a 5 velocità.
Se non avete mai sentito parlare di questa bici è perchè si trattava di una comune bici da città, con tanto di sella a molle e cestino.
Jacquie la cavalcava quel giorno fieramente sfoggiando un caschetto con incollata sopra una paperetta di plastica.
Quello fu il giorno che cambiò la vita di Jacquie Phelan.
Non solo perché fra gli sguardi attoniti dei ragazzi che la videro arrivare c’era anche quello del suo futuro marito, celebrato costruttore di bici e fondatore della Wilderness Trail Bikes, Charlie Cunningham.
Fu anche il giorno in cui Jacquie si innamorò del fuoristrada, anche se ancora non si poteva propriamente parlare di Mtb.
Sempre nelle prime posizioni del gruppo in cima alle salite, Jacquie ricorda di essersi lanciata in discesa quel giorno sempre cantando a squarciagola per superare la paura.
Tra i suoi compagni di avventura c’erano personaggi che sarebbero entrati nell’americana Mtb Hall of Fame negli anni a venire.
Tra di essi anche un ancora poco conosciuto Gary Fisher, con cui Jacquie avrà quella che definisce una breve liason.
Un talento per la Mtb
Il suo destino è segnato.
L’amore per le due ruote determinerà il resto della sua vita, in particolare da quando si scoprirà un talento che resterà per lunghi anni ineguagliato tra le donne.
Con il soprannome di Alice B. Toeclips, ispirato a Alice B. Toklas, (femminista dell’avanguardia parigina degli anni ’20 e compagna di Gertrude Stein) tra gli Anni ’80 e ’90 sarà la donna da battere.
Lo sarà anche per molti uomini, con i quali spesso si misura non essendo sempre previste delle categorie femminili nelle gare a cui partecipava.
Cindy Whitehead-Buccowich fu la prima a batterla dopo anni di dominio incontrastato.
Otto e le bici di Charlie Cunningham
Il suo periodo di maggior gloria agonistica la vedrà in sella alla bici che Cunningham realizzò per lei, soprannominata Otto, che è considerata la prima mountain bike moderna (qui un articolo che ne illustra una riproduzione).
Manubrio drop, telaio in alluminio (una novità assoluta nel momento in cui i telai erano realizzati in acciaio), corona doppia all’anteriore (44-34) e freni roller-cam che erano il marchio di fabbrica di Cunningham erano solo alcune delle idee innovative adottate su questa bici.
Cunningham, presto il marito di Jacquie, era allora un giovane ingegnere e un innovatore capace di prefigurare soluzioni che sarebbero state adottate dall'industria ciclistica anni dopo.
Nata sotto il segno della bicicletta
Più che per la carriera agonistica, Jacquie Phelan divenne nota tra gli Anni ’80 e ’90 per la sua personalità incontenibile che si esprimeva ad esempio attraverso le memorabili mises con cui si presentava alle gare.
A volte i suoi erano veri e propri travestimenti, come quando si travestì da “book of Kells” (il celeberrimo codice miniato conservato a Dublino) per una gara in Irlanda.
Jacquie è sempre stata un vero spirito libero, e il mondo pionieristico della mountain bike in quegli anni le offriva uno spazio di espressione ideale.
La si ricorda togliersi la maglia sul traguardo restando in topless, perché la gente capisse, dice, che era una donna, dato che ancora spesso correva con gli uomini.
“Mi dicono che anche così non era facile distinguerlo” scherza in una recente intervista.
La campagna pubblicitaria per RockShox
Non particolarmente portata per un lavoro tradizionale, come lei stessa confessa, cercava di farsi notare dagli sponsor con metodi decisamente non convenzionali.
Per convincerli che sarebbe stata una grande testimonial, gareggiava con una barretta PowerBar che le penzolava davanti al casco.
Stranamente non fu presa sul serio.
La sua occasione si presentò quando la RockShox propose a Giuli Furtado, l’atleta che già sponsorizzava, di posare nuda e coperta di fango per una campagna pubblicitaria.
L’idea era venuta alla moglie del capo del brand dopo avere visto una mostra d’arte che proponeva un tipo di ritratto simile.
Furtado rifiutò, e la proposta arrivò a Jacquie, che ne fu entusiasta. Il progetto metteva insieme elementi diversi come lo sport, l’arte e il travestimento, esattamente come nel suo stile.
È lei dunque ed essere protagonista della celebre foto dove la si vede “suonare” una forcella Rock Shox come fosse un flauto di Pan.
L’immagine era ispirata all’interpretazione del ballerino russo Nijinsky del poema di Mallarmé “Il pomeriggio di un fauno”.
Le Wombats
Amante della scrittura e penna brillante, Jacquie Phelan scriveva per diverse riviste di bici, tra cui l’italiana Tutto Mountain Bike, dove aveva una rubrica intitolata “La bustina di té”.
Quello che ancora non abbiamo svelato è infatti il mistero del servizio da té che fa bella mostra di sé tra le ruote di Otto al Museo di Fairfax.
Nel 1984 (anche se la data ufficiale risale a qualche anno dopo) Phelan fonda un club dedicato alla bici riservato alle donne.
L’intento del club è quello di avvicinare quante più donne possibili alla bici in uno spirito di sorellanza e sostegno reciproco.
Il club prende il nome di Wombats, come i simpatici marsupiali dell’emisfero australe la cui immagine su una bici diventa il simbolo del club.
Si tratta in realtà di un acronimo che sta per WOmen’s Mountain Bikes & Tea Society.
Farne un circolo del té era un modo per tenere lontani gli uomini, dato che negli USA bere té non era considerato virile.
Alla domanda sul perché escludere gli uomini Jacquie risponde: “Perchè gli uomini hanno già un club tutto per loro. Si chiama Mondo”.
La sorellanza ciclistica
Si rivolgeva soprattutto alle donne che non sapevano molto di bici, con un approccio inclusivo prima che questo aggettivo diventasse di moda.
Forse proprio per questo i grandi media che si occupavano di bici non le diedero molto spazio.
Al contrario attirava l’attenzione delle grandi riviste femminili che inviarono alcune loro autrici ai camp organizzati da Jacquie Phelan con le Wombats (Vogue, Elle, Oprah, Glamour).
Anche quando gareggiava, Jacquie Phelan privilegiava sempre gli aspetti di sorellanza e di insegnamento, avversando l’autocelebrazione che domina gli ambienti competitivi.
Per lei competere non era una forma di scontro, ma piuttosto un modo di spingersi a vicenda per dare più di quanto si potrebbe fare singolarmente, con un approccio che le donne in particolare sembravano apprezzare.
La bici come strumento di libertà
Jacquie Phelan vede nella bici uno strumento di libertà e di espressione personale.
Per questo motivo vede il passaggio della Mtb a sport olimpico (“il momento in cui le tutine aderenti presero il sopravvento” nelle sue parole) come un evento che ha segnato un impoverimento dello sport.
Da quel momento, per lei, correre in Mtb è diventato un lavoro, per giunta pericoloso e mal pagato, dato che a molti atleti negli USA non è garantita una copertura sanitaria.
Nella sua visione delle cose a partire da allora gli atleti sono diventati intercambiabili, non più individui riconosciuti a tutti gli effetti per la loro personalità.
Per alcuni anni le gare single-speed le hanno restituito il gusto di competere in un ambiente rilassato e divertente come quello che ha conosciuto nei suoi primi anni.
Grazie a questo nuovo stimolo Jacquie ha continuato a correre. Nel 2004 ha partecipato al primo mondiale single-speed in Pennsylvania e negli anni successivi ha viaggiato tra Svezia, Scozia, Irlanda, Nuova Zelanda e così via per partecipare a questa competizione che ancora oggi è una grande festa della bici.
Nel 2024 il SSWC (Single Speed World Championships) si terrà in agosto ad Aufenau, in Germania, e Jacquie sarà presente ancora una volta per dare tutta se stessa e continuare a portare il suo messaggio di amore e libertà.
La Mtb come cultura da difendere
Negli anni Jacquie Phelan è stata protagonista di numerose iniziative volte a guadagnare spazio e credibilità alla Mtb.
A lei e ad alcuni altri attivisti californiani si deve la nascita dell’IMBA (International Mountain Bike Association), che ha raccolto l’eredità della Norba (National Off Road Bicycle Association), istituita da Joe Breeze ma presto scomparsa.
Si trattava del tentativo di creare una struttura per l’educazione alla cultura dei sentieri e la difesa dei diritti dei biker che cambiasse la percezione della Mtb e ne aiutasse la diffusione.
L’IMBA è oggi più che mai attiva e vitale e la visione che sostiene sta finalmente prendendo piede con l’idea che la creazione e la manutenzione di sentieri sia un modo per prendersi cura del territorio e per fare comunità.
Una visione estremamente all’avanguardia che oggi sta finalmente prendendo piede anche da noi.
Una bici per due: Charlie e quel tandem per pedalare ancora
Fino a poco tempo fa Jacquie esprimeva la sua creatività attraverso un blog personale, oggi abbandonato.
Scrive quasi quotidianamente però nella pagina destinata alla raccolta fondi per l’assistenza medica del marito.
Jacquie non è mai stata brava ad organizzare la sua vita in modo metodico. Per questo c’era Charlie.
Che però qualche anno fa è rimasto vittima di un incidente dalla dinamica mai chiarita mentre provava una bici destinata a lei.
I pesanti strascichi sulla salute di Charlie assorbono tutte le energie della famiglia, e spesso Jacquie è scoraggiata dalla situazione.
Ma poi ci sono i giorni buoni, in cui riesce a portare Charlie, diventato quasi cieco a causa dei danni riportati, in tandem o a qualche concerto.
Il suo spirito è sempre lo stesso.
La bici è ancora molto presente nelle sue giornate.
Per scrivere questo articolo l’abbiamo contattata.
Le sue mail, scritte in un inglese vivo e brillante, sono firmate con questa citazione di Sojourner Truth:
“Se la prima donna che Dio mai creò fu forte abbastanza da rivoltare da sola il mondo di sotto in su, queste donne insieme dovrebbero essere in grado di riportarlo indietro e rimetterlo in piedi di nuovo”.
Per contribuire alla raccolta fondi per le spese mediche di Charlie Cunningham trovate il link QUI.
Qui tutti i nostri articoli sulla storia della Mtb
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Sull'autore
Silvia Marcozzi
Vivo da sempre in equilibrio tra l’amore per lo studio e le parole - ho due lauree in lettere e un dottorato in lingue - e il bisogno di vivere e fare sport all’aperto. Mi sono occupata a lungo di libri e di eventi. Dieci anni fa sono salita su una bici da corsa e non sono più scesa, divertendomi ogni tanto a correre qualche granfondo. Da poco ho scoperto il vasto mondo dell’off-road, dal gravel alla Mtb passando per le e-Mtb, e ho definitivamente capito che la mia sarà sempre più una vita a pedali.