FIESOLE - Il nome, Santa Cruz, è di per sé un’ispirazione e richiama alla mente scenari grandiosi.
Il video di presentazione della Nomad C ti porta in Cile.
Se nomini la V10 pensi subito a Josh Bryceland e a quel mondiale sgangherato.
Se pensi Bronson, pensi a questo video e alla rivoluzione 650b che Santa Cruz insieme a pochi altri marchi ha introdotto violentemente nel mondo della Mtb.
E mi fermo qui, senza andare troppo indietro nel tempo e raggiungere il 1994, anno in cui il marchio ufficialmente entrò nel mercato.
Parlare di Santa Cruz significa entrare nella vita di Rob Roskopp, il fondatore del brand, che ha avuto un approccio con la bike industry decisamente non comune.
Roskopp viene dallo skateboard (che ha praticato a livello professionale), viene dalla California e parlare con lui anche solo 20 minuti ti porta con l’immaginazione sui sentieri di Santa Cruz (la città) e a pensare la vita in un modo decisamente più facile.
A Fiesole, oltre al bike check della Nomad C di Steve Peat, ho avuto l’occasione di realizzare questa intervista con lui.
Rob Roskopp e la sua visione della Mtb hanno influenzato tantissimo le scelte di altri brand. Ben più grandi di Santa Cruz.
Da dove viene, allora, questo Roskopp? Le sue origini, come detto, sono lontane dal mondo della bici.
- Che cosa ti ha portato dallo skate alla Mtb?
- Ho sempre usato la bici, a cominciare dalla Bmx, negli Anni 70 quando avevo 17 anni. Ecco, adesso sai anche la mia età… Un amico che abitava vicino casa aveva costruito una piccola pista e ogni giorno appena tornavo da scuola non vedevo l’ora di salire sulla mia bici. E’ stata la prima sensazione di libertà che ho avuto e credo che lo sia per tanti ragazzini.
Poi è venuto lo skateboard e ho lasciato la bici per un po’ di anni. Fino a che un amico mi ha invitato a partecipare a una gara di Mtb, verso la fine degli anni 80. Da lì ho ripreso a pedalare e dopo la mia prima gara mi è tornata la fissa…
- E l’idea di creare un marchio di bici come è venuta fuori?
- Ero arrivato a un punto in cui dovevo prendere una svolta. E lo feci. Decisi di studiare bene l’economia e gli affari, di giorno lavoravo e di notte studiavo. Sono stato fortunato a trovare le persone giuste. Rich Novak fu uno di questi. Poi ne vennero molti altri.
- Santa Cruz è conosciuta soprattutto per le sue bici da divertimento. Eppure la prima Santa Cruz fu una bici da Xc…
- Adesso la chiameresti così, ma allora la Tazmon era qualcosa di davvero “strano”. Nell’epoca in cui tutti facevano hardtail noi uscimmo con una bici a doppia sospensione. E non fu una cosa casuale, ma studiata. Dovevo entrare nel business e dovevo farmi conoscere e riconoscere. Mike Marquez e Tom Morris (due collaboratori della prima ora) avevano una certa esperienza nel motocross, e da questo nacque la Tazmon.
- Oggi le bici Santa Cruz sono bici per il divertimento, per le lunghe uscite, ma non per il cross country.
Ci sarà mai una Santa Cruz in competizione con una Epic o una Scalpel?
- Beh, c’è già, la Tallboy…
- Ma non ha lo stesso appeal, almeno in Europa.
- Le differenze sono nel nostro modo di concepire la Mtb. Quando ho iniziato c’erano il cross country e la downhill, ma le bici erano praticamente identiche. Oggi ci sono tanti segmenti nuovi e se devo scegliere quale bici fare ne scelgo una che mi piaccia pedalare.
Non sono uno da Xc, per la mia età è meglio andare sui sentieri, semmai preferisco la downhill.
Ormai sono 10 anni da quando abbiamo creato il Syndicate e mi sento onorato di aver lavorato con personaggi come Nathan Rennie, Kirt Voreis, Jamie Goldman e altri di varie discipline, marathon compresa. L’idea dietro al Syndicate era proprio questa: radunare tanti personaggi, molto diversi fra loro, ma poi pian piano è emersa la mia passione per la Dh e il Syndicate è diventato un team di Coppa del mondo. E volevo che fosse il migliore possibile.
- E adesso c’è l’enduro…
- Qualunque cosa arrivi nel futuro il concetto dietro rimarrà lo stesso: fiducia. Tutto in Santa Cruz si basa sulla fiducia, anche nel Syndicate. A prescindere che si gareggi nella Dh o nell’enduro.
- Che cosa ti ha convinto a fare il passaggio dalla 26” alla 27,5”?
- A una domanda simile ho risposto qualche tempo fa, ma mi avevano chiesto una cosa diversa: che cosa ti ha convinto a passare alla 29”? Prima di farlo abbiamo guardato come evolveva la cosa, dal 1999 fino al 2006. Poi abbiamo deciso di iniziare a lavorare su una full 29er e nel 2008, cioè quando eravamo pienamente convinti che non sarebbe potuta essere meglio di così, siamo usciti con la Tallboy. Cioè prima di molti altri.
Entrare nel mercato con la Tallboy, cioè con una 29er, fu una decisione nostra.
Nel caso del 27,5” è stato l’opposto.
Fu il mercato a dirci di farlo e lo facemmo, ma in tempi molto più rapidi…
- Più rapidi perché?
- Perché c’è un grande team alle spalle, Syndicate compreso, che supporta lo sviluppo, fa i test e lo fa in tempi rapidi. E questo ci permette di uscire sul mercato molto prima di altri e con i prodotti giusti.
Il 27,5” è di un pollice più grande della 26”, ma quel pollice ti dà maggiore scorrevolezza, grip e i vantaggi che conosciamo.
- Ricordi quando hai conosciuto i rider del Syndicate?
- Certo, lo ricordo bene. Steve Peat era il 2000 o il 2001, a Interbike, avevamo un amico in comune e cominciammo a conoscerci a quell’epoca. Steve è entrato nel Syndicate solo qualche anno dopo.
Greg lo conobbi in seguito.
Josh nel 2007, aveva Steve come mentore e mi fidai di Steve.
Cedric, invece, venne da me, ma come amico, e si propose. Adesso è un “free agent”, non è nel Syndicate, ma è un personaggio fantastico. Ha stile, è veloce con qualunque mezzo e quando scende di sella ti accorgi che è anche una persona umile. Ne conosco pochi così.
La nostra è una famiglia e a questi livelli, credimi, non è facile mettere su una cosa del genere e mantenere un simile affiatamento.
- Ti aspettavi da Bryceland una stagione come quella di quest’anno?
- Tre ani fa, me l’aspettavo tre anni fa. Beh, se fosse successo prima sarebbe stato meglio. Ero certo che ne aveva le capacità e che era solo questione di tempo. Ci vuole tempo a volte…
- Chi è che decide le grafiche delle nuove bici?
- In Santa Cruz ci sono un bel po’ di persone di talento. Sulla grafica mettiamo molta attenzione.
- Chi ha deciso le colorazioni della nuova Nomad? Perché il magenta?
- Geoff Casey è il grafico che si occupa di tutto ciò da un paio di anni. Lui propose il rosso, ma da quando faccio skateboarding ho in mente l’abbinamento blu e magenta, ma non l’ho mai usato, per una questione personale.
E non è il rosa, perché il rosa è diverso. Non ci sarà mai il rosa su una bici Santa Cruz. Il magenta ha un maggiore percentuale di rosso e ha un look molto migliore.
- Come commenti le versioni economiche in carbonio di Bronson, Tallboy e 5010?
- Credo che il carbonio sia un materiale decisamente migliore dell’alluminio (più resistente, più rigido e più leggero) e portarlo a un prezzo più ragionevole credo che sia una buona idea. Diventa più accessibile, MA… senza cambiare il procedimento di produzione e il modo di intrecciare le fibre dei modelli di punta. Cambia solo la qualità del materiale che utilizziamo.
- 15 mm di travel fanno una grande differenza fra Nomad e Bronson: a chi le suggerisci?
- Diciamo che la Bronson sale meglio, mentre la Nomad scende meglio. Se cerchi una bici per fare di tutto e se sei un rider di medie capacità, ti consiglio la Bronson.
Se ti piace guidare in modo aggressivo e cerchi una bici più stabile in discesa, vai di Nomad.
- Qual è la bici sulla quale state lavorando?
- Noi lavoriamo sempre su qualcosa. La V10 rappresenta la Formula 1 per noi ed è stata in continuo sviluppo e affinamento sin da quando è uscita. E’ un lavoro costante, ma necessario, perché oggi il livello medio delle bici si è alzato tantissimo. Dieci anni fa non era di certo così. Adesso si vede che i brand hanno iniziato a lavorare ad affinare le sospensioni.
- Ci sarà mai una e-bike da Santa Cruz?
- Non lo so. Al momento ti dico così. In America ci potrebbero essere difficoltà nel farle accedere sui sentieri.
- E che ne pensi delle fatbike?
- Se vivi nel deserto, se vivi dove c’è la neve, possono avere un’utilità anche come mezzo di trasporto. Ma se le usi dove è asciutto e piatto… mi chiedo: che bisogno hai di andare in Mtb più piano?
- C’è un futuro per l’elettronica nella Mtb?
- Sì, secondo me potrebbe portare dei benefici nei prossimi due-tre anni. Ne vedo un impiego interessante nel settore delle sospensioni. Non mi entusiasma troppo. Lo vedo ora come un qualcosa che mi distrae dalla guida. Ma ne guardiamo attentamente gli sviluppi.
Uno dei modi in cui l’elettronica potrebbe essere impiegata è nella trasmissione wireless, cioè un cambio senza fili. Oppure nel reggisella telescopico: immagina un dispositivo che con un click ti abbassa la sella e con due click te la rialza.
Il deragliatore è morto, Sram ha fatto un lavoro incredibile e anche Shimano l’ha capito.
Non mi piace un manubrio pieno di bottoni, mi piace la semplicità perché la semplicità è l’obiettivo più difficile da raggiungere quando si disegna un prodotto. Qualunque prodotto.
- Che cosa ti ispira di più?
- Un sacco di cose. La famiglia, prima di tutto. E qualunque cosa che possa aumentare il livello di divertimento e allo stesso tempo renderlo più sicuro. E altre cose ancora. Adoro tutto ciò che è velocità.
Nel 2013 Santa Cruz Bicycles ha cambiato sede e ha fatto un grande passo in avanti. Si è tolta di dosso l’appellativo di “piccolo brand” per diventare un “leading brand”. Eppure le dimensioni, viste dall’esterno, non sono cambiate molto.
E’ un marchio ancora piccolo, ma di grande spessore.
Roskopp è riuscito a dare a questo brand di bici lo stesso appeal che hanno le tavole da skateboard con lo stesso nome sopra. Ma ha aggiunto molto di più.
Ad esempio il Santa Cruz Syndicate, alla base del quale c’è un concetto che rispecchia il suo modo di agire: poche persone, grandi idee, grandi risultati.
In barba alle strutture corpulente di molti altri brand…
Ps: vi avevamo parlato della Nomad C di Steve Peat. Ecco quanto pesa...
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Sull'autore
Simone Lanciotti
Sono il direttore e fondatore di MtbCult (nonché di eBikeCult.it e BiciDaStrada.it) e sono giornalista da oltre 20 anni nel settore delle ruote grasse e del ciclismo in generale. La mountain bike è uno strumento per conoscere la natura e se stessi ed è una fonte inesauribile di ispirazione e gioia. E di conseguenza MtbCult (oltre a video test, e-Mtb, approfondimenti e tutorial) parla anche di questo rapporto privilegiato uomo-Natura-macchina. Senza dimenticare il canale YouTube, che è un riferimento soprattutto per i test e gli approfondimenti.