La Hero Sudtirol Dolomites (qui il resoconto dell'edizione 2017) è una gara diventata leggenda grazie al contesto in cui si svolge, le Dolomiti, e per la bravura degli organizzatori.
Attira appassionati da tutto il mondo e per un giorno li trasforma in eroi dello sport.
Il richiamo è fortissimo, e allo stesso tempo severo, insindacabile e inappellabile come pochi altri.
La Hero Sudtirol Dolomites, se hai un minimo di ambizione, richiede dedizione per mesi e Mirko De Angelis, giovane romano stakanovista della bici, ha accettato la sfida anche quest’anno.
Aveva un obiettivo la mattina di sabato scorso alle 7:30, prima del via da Selva di Val Gardena.
Leggete le sue parole…
SL
UN GIORNO DA HERO
Il momento della sveglia è quello in cui capisci già che tipo di giornata sarà ad attenderti.
Ore 5.00, come d’abitudine per le grandi occasioni, ci si alza presto per quella che sarà una grandissima giornata di festa ma anche, e soprattutto, il momento cruciale dopo mesi di preparazione e di sogni che è ora di tirar fuori dal cassetto.
Una ricca colazione, quattro chiacchiere con gli altri compagni di avventura, i ragazzi del mio Team, il Balduina BikeShop Roma e in un attimo mi ritrovo in griglia insieme ai tanti biker pronti a prendere il via.
Nonostante l’aria sia frizzante e il termometri registri 5° l’atmosfera è già calda. Si respira il clima di festa in quel di Selva di Val Gardena che, per un giorno, si trasforma nella capitale della mountain bike.
“Ready to Fight” è la scritta che campeggia sull’arco posto sulla linea di partenza, e mi ricorda, qualora avessi ancora dei dubbi, che è il momento di combattere questa grandissima sfida contro me stesso e i limiti che mi sono prefissato di superare: chiudere la gara entro le 6 ore.
Sul volto dei tanti biker che riempiono la griglia di partenza leggo i miei stessi stati d’animo, ben presto i sorrisi lasciano lo spazio ai silenzi e quegli ultimi attimi di tensione mi portano rapidamente al countdown annunciato a gran voce dallo speaker.
Sono le 7:29 e tra 60 secondi i 4017 iscritti all’evento gardenese prenderanno il via.
Gli ultimi interminabili secondi prima dello start ufficiale sono un velocissimo flash back: nella mia testa appaiono i momenti precedenti, gli allenamenti, i sacrifici fatti per essere qui nelle migliori condizioni possibili, le gioie e le risate.
E’ ora di partire.
I pensieri lasciano lo spazio a quel primo sforzo intenso: rompere il fiato è sempre un esercizio che mette a dura prova il tuo fisico e le tue gambe e ti ricorda che non sarà affatto una passeggiata.
Per superarmi dovrò correre la Hero con le gambe ma, soprattutto, con la testa e con il cuore.
Le prime due salite, Dantercepies e Pralongià, scorrono abbastanza velocemente grazie anche allo splendido scenario che si apre davanti al mio orizzonte. Sassolungo e Marmolada sono patrimoni che tutto il mondo ci invidia e poter vivere una giornata di pura passione e sport tra queste montagne è un pensiero che aiuta ad alleviare la fatica.
Ben presto il cartello che indica “Col dell’Ornella” mi ricorda quale fosse, nel mio immaginario, il punto chiave della mia Sellaronda Hero.
Questo muro arcigno di ben 2,5 km con pendenze costantemente in doppia cifra (con punte al 20-25% dove anche i più allenati, spesso, sono costretti a mettere piede a terra) sarà il crocevia della gara.
Mi faccio largo tra i partecipanti che cercano di salire al meglio delle loro possibilità, cercando di mettere in pratica ogni più piccolo escamotage tecnico per superarlo nella miglior maniera possibile.
Testa bassa quasi a voler mordere il manubrio, corpo completamente spostato sull’anteriore e catena sul 30x42 e mi ritrovo di fronte al muro finale.
Quei 500 metri che sembrano non terminare mai, dove se ascolti il dolore del tuo corpo o se pensi troppo al fuoco che senti bruciare nei tuoi muscoli, rischi di ritrovarti fermo sul ciglio senza possibilità di ripartire velocemente.
Cerco di incitarmi a bassa voce, e di non dar ascolto al dolore che stava iniziando a percorrere le mie gambe.
La parte più difficile è dietro di me, sembra quasi impossibile, ma in un attimo mi ritrovo al culmine del Sourasass, 2400 metri e punto più alto di tutta la gara.
Da lì in poi il veloce single track verso il Pordoi e successivamente la discesa di Canazei mi regalano attimi di respiro e di recupero, alleviati dal panorama mozzafiato che si staglia davanti a me.
All’inizio della penultima salita, il Duron, inizio a fare alcuni calcoli: il cronometro segna 4 ore di gara, perfettamente in tabella per cercare di migliorare il tempo fatto registrare durante l’edizione 2016 e abbattere il muro delle 6 ore di gara.
Nonostante i “soli” 55 km e oltre 3000 metri di dislivello so di essere un passo più vicino al mio grande obiettivo.
La mia euforia, però, si trova a dover fare i conti con un forte vento contrario che, risalendo il falsopiano del Duron, rallenta la marcia e mi costringe a dar fondo alle ultime energie rimaste.
In cima, a quota 2100 metri, mi concedo qualche attimo di recupero, cerco di radunare tutte le forze rimaste aiutato anche da un gel che non esito a mandar giù il più velocemente possibile.
Ormai, però, le mie forze sono al lumicino ed è qui che capisco che dovrò lanciare il cuore oltre l’ostacolo per riuscire ad arrivare entro il tempo prefissato.
La testa a tratti sembra volermi urlare “Basta!”, ma è in quei momenti che ripenso ai tanti sacrifici fatti e allora mi dico che saranno questi ultimi attimi di sofferenza ad aprirmi le porte della gioia più grande.
Gli ultimi 13 km in picchiata sono un misto di emozioni che stento a trattenere. Nel single track finale, immerso tra gli alberi del bosco che affianca la strada di Selva di Val Gardena, alla vista del cartello dell’ultimo km inizio a sentire la voce dello speaker, ma, soprattutto, il boato della folla accorsa ad incitare ognuno degli eroi che concluderanno questa prova.
La felicità di quel momento in cui attraverso la linea d’arrivo la porterò dentro di me a lungo.
E’ fatta: 5 ore e 47 minuti.
59º assoluto.
8º di categoria Elite Master Sport.
E non importa quanto dolore ci sia nel mio fisico o quanta fatica abbia provato per arrivare quassù.
In quegli attimi, dopo la linea del traguardo, c’è spazio solo per l’immensa gioia di aver domato una gara estrema e aver dimostrato a me stesso di essere stato in grado di superare i miei limiti, vivendo una giornata da Real Hero.