Prosegue, in prima serata, l'appuntamento con uno dei più grandi campioni della storia del cross country. MtbCult, in collaborazione con www.mountainridermag.com, vi offre una lunga intervista in tre puntate a Josè Antonio Hermida, 36 anni tra pochi giorni, ex campione del mondo e argento olímpico, portacolori del Multivan Merida Team.
Nella seconda puntata, Hermida spiega come l'evoluzione della Mtb lo abbia costretto a un continuo adattamento della tecnica di guida e degli allenamenti. E infine dice la sua sui rock garden, che tanto vanno di moda nelle gare internazionali più importanti. Buona lettura…
GS
Le foto di questo articolo sono di Sebas Romero, Francisco Comunas e Multivan Merida.
Ecco cos'aveva detto Hermida nella prima puntata...
- La nuova Mtb ti ha obbligato a cambiare lo stile.
- L’evoluzione delle bici mi ha fatto cambiare molto. Ci sono giovani che non conosceranno mai una 26”. Cink, per esempio, ci è salito pochissimo. In tanti hanno iniziato già con una 27,5” o una 29”. Le nuove distanze di gara comportano anche un cambiamento delle caratteristiche del biker. E ora come ora non giocano a mio favore. Quando diventi grande, guadagni in termini di resistenza ma perdi esplosività. Oggi, purtroppo per me, le gare sono sempre più corte e tecniche.
- Cos’è cambiato nella tua guida?
- Quando ho iniziato, le forcelle avevano un travel di 66 mm. Adesso sono di 100 mm. Sono cambiate le ruote, le distanze tra gli assi. Il cervello si abitua a un’altezza precisa e quando c’è un cambiamento devi resettare tutto. Avevo molto chiara la distanza e la visione di una ruota da 26”, calcolavo la forza in maniera automatica e naturale. Ora ho dovuto riadattarmi, anche se le geometrie hanno raggiunto un livello molto simile.
- Ci hai detto che i nuovi chilometraggi in gara sono un punto a tuo sfavore.
- E' una legge di natura. Prima, quando le gare erano di due ore e mezza, dopo due ore c’era gente che spariva dal percorso. Adesso, in un tempo così breve, anche un Under 23, persino uno junior, può piazzare la sua faccia davanti a un elite. Un’ora e mezza di sforzo lo assorbi meglio. E alla fine non resta che ricorrere all’esperienza.
- Questo ti ha costretto a cambiare allenamento?
- Sì, perchè l’esplosività si può allenare. Di solito la gente faceva un 60% di strada e un 40% di Mtb. Io dedicavo l’80% al fuoristrada, ora vado tre ore su asfalto con la Mtb, per simulare le condizioni di gara, impensabile fino a poco tempo fa. In più, ci sono le doppie sedute, mattina e pomeriggio. Allenamenti più corti ma più intensi.
- E quando partecipi a una corsa a tappe non ti senti a disagio?
- Il primo giorno soffri perchè non tieni il ritmo. In una gara di Coppa del mondo vai a quasi 190 pulsazioni al minuto, in una corsa a tappe a 160. Questa differenza ti permette di aggiungere due ore in più di gas. E così riesco anche a conservare un fondo residuo.
- Una media di 190 battiti in Coppa del mondo?
- In una gara “moderna” di Xc di solito si ha una media di 176-178 pulsazioni. Questo significa che per quasi tutto il tempo vai a circa 182 pulsazioni, con picchi anche più alti.
- C’è molta gente che non è d’accordo con i rock garden (le sezioni artificiali in pietra), tu che ne pensi?
- Oggi la Mtb sta scoprendo una nuova dimensione. Non si tratta di una crisi di identità, bensì di cercare novità. Stanno provando a renderla più attraente per la tv e dare emozioni visive dato che Red Bull ha scommesso molto per il nostro sport. Il formato di gara attuale è un successo. Anche perchè si arriva all’ultimo giro con tre o quattro biker che si danno battaglia e ci sono più emozioni.
- Però ammetterai che i passaggi artificiali hanno portato con sè molte critiche.
- Alle Olimpiadi di Pechino il circuito era veloce ma cattivo, con pietre che hanno creato diversi problemi. Era la nostra occasione per fare conoscere il nostro sport a tutto il mondo e non ne abbiamo approfittato. A Pietermaritzburg hanno fatto la stessa cosa: hanno messo le pietre rotonde da fiume ma hanno mostrato più attenzione per la praticabilità e allo stesso tempo per lo spettacolo. E’ stata la prima volta che abbiamo visto una gara eccitante, con Nino Schurter che vinse all’ultimo giro su Absalon disegnando in discesa una linea impossibile. La gente capì che tutto quello creava vero spettacolo.
- Tutti i percorsi hanno bisogno di un rock garden?
- No. Ad Andorra, ad esempio, non ha senso. E’ una montagna naturale con pietre, radici, non serve creare artificialmente lo spettacolo. Bisogna considerare che lo spettacolo non lo fanno le pietre, ma due biker che lottano per la vittoria. Se deve essere un obbligo, non ha senso. In Repubblica Ceca hanno disegnato un percorso assurdo. Bisogna agire in maniera intelligente. Perchè se poi i corridori si fanno male e mancano per un paio di mesi le conseguenze sono negative per tutti.
Preferisci le gare a tappe a quelle di cross country?
A me piace l’Xc puro. All’età mia, molti biker si sono dati alle marathon a tappe o all’enduro. Ma io sono un romantico a cui piace l’Xc per la lotta all’ultimo sangue, il contatto, le decisioni in tempi rapidi da prendere, per l'adrenalina che ti dà anche un errore che compromette la tua corsa. Dopo quattro anni di allenamenti, alle Olimpiadi di Londra, ho commesso un’ingenuità che mi ha provocato il salto di catena mentre stavo per vincere una medaglia. Questo tipo di drammi, come anche i momenti di gloria li regala solo il cross country. Il tutto confezionato in un’ora e mezza.