Da stasera a giovedì, in prima serata, MtbCult, in collaborazione con www.mountainridermag.com, vi offre una lunga intervista in tre puntate a uno dei più grandi campioni della storia del cross country.
Stiamo parlando di Josè Antonio Hermida, 36 anni tra pochi giorni, ex campione del mondo e argento olímpico, portacolori del Multivan Merida Team.
Nella prima puntata, Hermida parla della sua esperienza e del rapporto che ha con i molti giovani della sua squadra. Buona lettura…
GS
Le foto di questo articolo sono di Sebas Romero, Francisco Comunas e Multivan Merida.
«La stanza dell’hotel che ospita la squadra nazionale a Cairns, Australia, vibra di un entusiasmo quasi insopportabile. E’ come se un disco volante fosse atterrato in cortile o qualcosa di simile. Ma in realtà, il centro di tutte queste vibrazioni dell’ottavo grado della scala Richter è Jose Hermida, che ha appena vinto il campionato del mondo juniores».
Così esordiva Xavier Fanè nel 1996 la sua cronaca sui mondiali, descrivendo un esaltato Josè Antonio Hermida che non riusciva a frenare la sua felicità dopo aver vinto il suo primo titolo mondiale.
Da allora, non ricordo nessun giorno in cui Jose abbia perso il sorriso e la gentilezza, neanche nei momenti più duri in cui mancava di un soffio podi mondiali e medaglie olimpiche. E’ sempre stata viva l’immagine di un tipo felice, semplicemente perchè ha capito, tracciando un consuntivo, che la bicicletta alla fine ti dà sempre di più di quello che ti toglie.
Ma Hermida è un vecchio o solo uno della vecchia scuola? Quella gara di Cairns fu l’inizio di una delle carriere più vincenti nel mondo della Mtb, quella di un uomo che per ben dieci anni consecutivi è rimasto tra i migliori cinque al mondo.
Paradossalmente, Cairns può diventare il terminale di una parabola, dato che nel 2016 i mondiali torneranno a disputarsi in Australia. E’ questo il chiodo fisso del nostro protagonista. A Hermida piacerebbe chiudere la parentesi da corridore nello stesso luogo in cui tutto ebbe inizio, e possibilmente con lo stesso risultato.
Lo spagnolo ha già alle spalle 20 anni di carriera professionistica. Per i giovani, è un vecchiaccio duro da battere, per molti altri un biker della vecchia scuola che si è riciclato e adattato alla perfezione al nuovo stile di guida della Mtb, quello che oggi va per la maggiore in Coppa del mondo.
«Sì, la verità - attacca Hermida - è che mi prendono in giro essendo il più vecchio del gruppo, però sempre in maniera simpatica. Da vecchia volpe, ho già pronte una cinquantina di risposte e auguro a tutti di essere come me a 35 anni. Qualche volta ho dovuto inghiottire qualche boccone amaro, però ci tengo ad avere l’ultima parola (ride, ndr)…».
- Ci hanno riferito che “il vecchio è più in forma che mai” e che gli ultimi test sotto sforzo sono stati i migliori degli ultimi anni.
- I giovani mi danno molti stimoli. Lì ho visti determinati come lupi e all’inizio di quest’inverno mi sono dovuto impegnare a fondo (ride). Ma i risultati sotto sforzo sono sempre stati buoni, quel che conta adesso è finire la carriera e passare la linea del traguardo tra i migliori.
- I giovani sono così spigliati?
- Sí, il loro atteggiamento mi ha dato una grossa mano. Non mi sono mai abbattuto però vederli avanzare velocemente alle mie spalle mi obbliga a non rilassarmi neanche un attimo. Tenendo sempre in considerazione il mio obiettivo a lunga scadenza, la qualificazione per i Giochi olimpici di Rio.
- Col tempo si perde la fame di vittorie?
- Chiedetelo ad Absalon, che ha vinto tutto. Mai mi sono stancato delle vittorie e mai ho perso la voglia di centrare grandi risultati. Non ero un predestinato, non ho mai dominato un’intera stagione, solitamente ho vinto solo un paio di corse all’anno. Ecco, forse uno come Absalon, che ha dalla sua una sfilza di mondiali, olimpiadi e Coppe del mondo, può stancarsi e non mi sembra il suo caso. La mia adrenalina e la mia voglia di vincere è sempre rimasta constante.
- I giovani sono dunque anche uno stimolo molto importante, oltre che un’esigenza per il ricambio generazionale.
- Mi piace in allenamento vederli arrivare. Mi metto a ruota sornione e torno ad imparare. E’ vero, loro imparano da me. Ma anch’io imparo molto da loro.
- Essere il leader della squadra ti dà dei vantaggi.
- Non sono il leader. Mi assegnano questo titolo per gli anni che porto. Sono come un vecchietto che ha le chiavi del portone, però non sono il leader. E’ ovvio, ho il miglior palmares e forse più carisma rispetto ai giovani. Pero Ondrej Cink e Thomas Litscher sono sulla buona strada per sorpassarmi. Dipende molto da loro.
- Ciò che colpisce del Team Multivan Merida è il fenomenale ambiente che si respira tra tutti i componenti.
- Durante l’anno viaggiamo molto e stiamo insieme durante la settimana. In inverno resto con la mia famiglia, con mia moglie e i miei figli. Tra una corsa e l’altra, faccio un salto un paio di giorni a casa. Tutto il tempo che rimane è occupato dall’altra famiglia, appunto il Multivan Merida. E’ bello avere un gruppo di lavoro così unito. Si respira positività e i giovani hanno un buon carattere.
- Anche dal punto di vista numerico, la squadra è una delle più attrezzate.
- In dieci anni, Merida ha avuto sempre più di quattro biker uomini più Gunn-Rita Dahle, mentre tutte le altre squadre di biker ne hanno al massimo due. Siamo un gruppo grande, con gente rimasta sempre nella Top 15 del mondo. Così anche la rivalità interna è stata importante. Ecco, Merida è riuscita a creare un esempio di successo e un team familiare.
- Tenendo conto che la Mtb è uno sport più “individuale” rispetto alla strada, a cosa serve un gruppo così nutrito?
- Serve per apprendere gli uni dagli altri e per apportare delle novità. Nella strada, è vero, si esce per cinque ore di allenamento, si sta tutti vicini, si chiacchiera più fácilmente. Ma anche nella Mtb è fondamentale la conoscenza individuale. Ad esempio, Thomas (Litscher) quest’inverno ha lavorato sull’equilibrio, in bici è diverso rispetto agli altri e allora osserva e prende nota. A Cipro, è stato utile allenarsi tutti insieme sui sentieri. Abbiamo riso e scherzato, ma anche provato a superare gli ostacoli con stili diversi. E’ come una grande riunione per migliorare la tecnica.
- Ti riferisci a questo quando dici che anche tu apprendi dai compagni?
- Certo. Loro imparano da me, ma per come si è evoluta la Mtb negli ultimi anni anch’io ho tante cose da migliorare ed essere in un team vivace serve a rimettersi continuamente in gioco. Una volta i salti erano di un metro, adesso sono di tre. Nei prossimi anni saranno ancora più lunghi. Nei collegiali ci si aggiorna sulla disciplina e si migliora il feeling con il resto del gruppo.