In occasione del dealer meeting tenutosi il 1° dicembre presso la sede di ScottSports Italia, abbiamo avuto il piacere di incontrare Mario Noris, ex ciclista professionista passato alle ruote artigliate quando la mountain bike era ancora ai suoi albori. Oggi è team manager dello Scott Racing Team e responsabile vendite per Scott Sports Italia. Facciamo un viaggio nel passato insieme a lui…
- Sei passato dalla bici da strada alla mountain bike nel 1989. Cosa ti ha portato a fare questa scelta?
- Negli ultimi anni in cui gareggiavo da professionista su strada con Atala erano arrivate le prime Mtb e ci erano state consegnate come mezzo da utilizzare per completare l’allenamento.
Capitava di fare anche qualche gara, ma senza troppo impegno e senza rischi eccessivi, in modo da non compromettere la carriera da professionista.
Nel 1988 c’è stato un “problema” con il direttore sportivo del team. Purtroppo questo mi ha portato a perdere il mio posto in squadra per la stagione 1989.
Conoscevo il gruppo Acerbis (distributore Scott), sia perché aveva fornito gli occhiali alla squadra di Atala, sia perché la loro sede era nel mio stesso comune di residenza. Scott aveva le bici, ma aveva anche bisogno di qualcuno che conoscesse tecnicamente la bicicletta.
Ed è così che è cominciata la mia avventura qui.
- Hai cominciato subito a correre?
- Dopo avermi inserito nel suo organico, Acerbis mi ha dato la possibilità di partecipare alle gare durante il weekend. Io avevo una gran voglia di correre.
Su strada ero un gregario, di quelli che si sacrificano davvero per il proprio capitano. In mountain bike è cambiato tutto. Ero io a fare la mia gara e a seguire la mia strategia.
Inoltre mi piaceva l’idea di poter correre e lavorare allo stesso tempo: questo mi alleggeriva dal peso che si avverte correndo da ciclista professionista e mi faceva affrontare le gare con uno spirito diverso. Nonostante avessi ricevuto proposte di ingaggio importanti, le ho rifiutate perché il mio futuro lo vedevo comunque nel lavoro che svolgevo.
E’ così che è incominciata questa nuova carriera, che prosegue tutt’oggi con Scott.
- Eri, quindi, anche un meccanico preparato?
- Quando correvo, ho sempre curato io la manutenzione della mia bici.
Sicuramente le Mtb di quel periodo erano molto più semplici, rispetto ad oggi, dal punto di vista delle caratteristiche e dell’allestimento, ma lavorarci mi piaceva, e non credo che avrei problemi a farlo anche sulle bici più attuali!
Mi occupavo io stesso della manutenzione e riparazione del cambio. Decidevo se utilizzare elastomeri più o meno duri per la forcella in base alla temperatura.
Sceglievo la tipologia di copertone da montare in base alle caratteristiche del terreno di gara. Ho sempre avuto un occhio di riguardo per l’aspetto tecnico.
- Attualmente quale ruolo ricopri in Scott Sports Italia?
- Sono responsabile delle vendite.
Nonostante abbia frequentato soltanto le scuole primarie, l’esperienza mi ha aiutato a compensare il fatto di non aver ricevuto una formazione prettamente accademica.
- C’è qualcosa che rimpiangi o che avresti voluto fare negli anni in cui hai corso in mountain bike?
- Rimpiango qualche risultato “mancato”.
Nel 1990 ai Mondiali di Durango ero ad un passo dal terzo posto, ma, pensando di farcela, probabilmente ho chiesto troppo a me stesso, chiudendo al settimo posto, che comunque è stato un buon risultato. L’anno successivo i mondiali si tennero al Ciocco.
Vi arrivai con la maglia di campione italiano ed un secondo posto al campionato europeo.
Ero in ottima forma, ma la tensione, che sempre mi faceva compagnia alle partenze, mi giocò un brutto scherzo. Fu segnalata una falsa partenza che mi fece innervosire ulteriormente.
Sentii un nodo allo stomaco che non mi permetteva di respirare bene.
Anche quella volta sfumò il podio.
- Ma ci sono anche bei ricordi di quella gara…
- Al Ciocco, c’era uno strappo in salita davvero ripido. Era la famosa Ciocca del Lupo.
Era talmente ripida da doverla affrontare in apnea!
Beh, gli unici a riuscire a percorrerla in bici eravamo io e un certo John Tomac.
Sono episodi belli da ricordare.
- Cosa ricordi di Tomac?
- Ai mondiali di Durango, durante la prima discesa, ho notato un corridore che guidava in un modo eccezionale.
Mi sono subito chiesto chi fosse. Beh, era proprio John Tomac!
Mentre io e gli altri biker “copiavamo” i canali di scolo dell’acqua che attraversavano la strada, Tomac li saltava.
Già allora era bravo. Era un corridore completo e spettacolare da vedere.
Un acrobata!
Anch’io me la cavavo tecnicamente, ma, nonostante ciò, non sarei stato in grado di “fare i numeri” che faceva lui…
Era avanti, in tutto, anche sul montaggio della bici. Era l’unico ad utilizzare già una forcella ammortizzata. Vinceva in continuazione, ma quello per cui si è fatto conoscere a livello mondiale erano di sicuro la tecnica in bici e la personalità unica.
Aveva stile…
- Con che bici correvi? E il telaio in che materiale era?
- Ho sempre corso con Scott. Mi ci trovavo bene, anche se a quei tempi il marchio era più impostato sul commerciale che sulla ricerca della performance. I primi telai utilizzati erano in acciaio Tange.
Nel '92-'93 sono arrivati i primi telai in alluminio.
I pesi finalmente cominciavano a scendere!
- Hai utilizzato anche un telaio in titanio?
- Sì, cronologicamente parlando ho utilizzato telai in acciaio, titanio, alluminio. Ho fatto un po’ da cavia per tutti i materiali! Ma, all’epoca, non avevo ancora provato il carbonio…
- Nei primi Anni 90 esistevano solo Xc e Dh. Adesso il panorama è più ampio. Cosa ne pensi a riguardo?
- Oggi ci sono Xc, Granfondo/marathon, enduro e downhill.
Il cross country è anche una disciplina olimpica e dovrebbe essere più tutelata, in modo da aver maggior seguito e partecipazione. I percorsi sono estremamente tecnici e i ritmi di gara sono altissimi, praticamente in stile ciclocross.
A mio parere la Fci dovrebbe fare in modo che tutti gli atleti master ed elite specializzati in questo tipo di gare percorrano un numero minimo di gare a stagione, concentrandosi e specializzandosi in questa disciplina. Le Marathon hanno un gran seguito perché, pur essendo impegnative fisicamente, hanno ritmi diversi.
Sono belle da fare poiché si svolgono spesso fra paesaggi stupendi.
I boom di iscrizioni si hanno proprio in queste gare.
Noi, come Scott Racing Team, partecipiamo a questa categoria di gare.
Poi ci sono l’enduro e la Dh. La prima sta guadagnando iscritti, a volte a discapito della seconda.
L’enduro è una disciplina che piace: anche se le gare sono lunghe, portano i partecipanti a interagire fra di loro, specialmente durante i trasferimenti pedalati, in cui è possibile anche godersi il paesaggio.
La Downhill rimane, comunque, la disciplina più spettacolare.
- Il movimento enduro ha portato benefici al mercato della bicicletta?
- Certamente sì. Anche se è tecnicamente e fisicamente impegnativo, ha richiamato molti appassionati e agonisti provenienti, per esempio, dal cross country o dalla downhill.
- Lo Scott Racing Team partecipa anche a gare di ciclocross?
- E’ capitato, anche se non sono d’accordo. Dopo un anno di gare Mtb, un atleta deve riposare. Le competizioni impegnano fisicamente e mentalmente e le gare di ciclocross sono proprio a fine stagione, nel momento in cui un corridore dovrebbe distaccarsi dalla competizione.
- 1990 – 2015: cos’è cambiato nell’essere corridore in questi 25 anni?
- Sono cambiate sia le bici che i percorsi.
Il carbonio e lo studio delle geometrie sui telai, l’evoluzione delle full suspension e della componentistica bicicletta, hanno portato a raggiungere livelli di tecnologia altissimi.
Tra dieci anni ci saranno sicuramente altre innovazioni, poiché la bicicletta piace, e quindi si investirà tanto nello sviluppo. I percorsi sono cambiati a seconda delle discipline.
L’Xc è diventato molto più tecnico, mentre le Granfondo molto più alla portata di tanti, a discapito dello spettacolo.
- Cosa significa avere talento e come lo riconosci?
- Il talento lo si riconosce in gara, perchè è fatto da un insieme di fattori: l’intelligenza e la tattica sono fondamentali.
Un atleta può essere fisicamente prestante, ma non è detto che sia talentoso. Ha talento chi conosce se stesso (cita Ragnoli dello SRT, ndc) e sa riconoscere quando si deve puntare ad un determinato obiettivo. Anni fa ha fatto parte del team un ragazzino. Aveva vinto due titoli junior e per me era un talento vero. Era agile e aveva un potenziale incredibile.
Sarebbe stato un campione.
Poi ha voluto cambiare squadra… e dopo tre mesi ha smesso di correre.
Il talento non va solo scoperto: va anche coltivato. E’ importante conoscere i ragazzi e le loro necessità. Non è detto che portarli via da casa e dalle proprie abitudini per tre o quattro mesi sia la cosa giusta. Questo è stata la rovina di questo ragazzo. Purtroppo succede.
- Qual è la tua attività presso lo Scott Racing Team?
- Il team è nato perché inizialmente vi correvo e successivamente sono diventato team manager. Oltre agli atleti ci sono anche due meccanici.
Io sono quasi sempre sul campo gara con loro. Oltre a seguire la squadra, essere presente alle gare è un buon modo per avvicinarsi al pubblico, interagire con i clienti e parlare con loro dei nostri prodotti. E’ un mezzo per riuscire a soddisfare nel miglior modo possibile le loro richieste.
- Quali sono gli obiettivi per il 2015?
- L’obiettivo per Juri Ragnoli, l’atleta più forte, già campione italiano due anni fa, sono il mondiale alla Sellaronda Hero e il campionato italiano.
- Con che bici gareggia il team?
- Tutti gli atleti hanno in dotazione due bici: una front e una full suspended, da 27,5” o 29”. Le bici in questione sono la Scott Scale Rc e la Spark Rc.
La componentistica è Sram. Le forcelle Rock Shox, gli ammortizzatori Fox, con tuning specifico per il telaio della Spark. I copertoni Vittoria e gli altri componenti Syncros. Le selle Prologo.
- Ti vedi come commissario tecnico della nazionale?
- C’era stata una richiesta nei miei confronti prima della nomina Pallhuber, ma lavorando qui in Scott e avendo già la responsabilità del Team ho lasciato perdere la candidatura. Comunque non posso negare che mi sarebbe piaciuto…
- Cosa faresti per stimolare l’interesse dei giovani al mondo della mountain bike?
- Qualcosa si sta muovendo: vedo che ci sono team amatoriali dove sta crescendo il settore giovanile. Non è facile proporre questa attività alle scuole, poiché i tempi e i budget a disposizione per queste attività sono molto limitati.
La bicicletta sta acquisendo importanza anche grazie ai media: viene utilizzata negli spot pubblicitari e ci sono canali tematici a lei dedicati.
Ho visto tanti giovani che al posto di uno scooter preferiscono comprare, per esempio, una bici da dirt o una Mtb da usare anche come mezzo di locomozione. Anche da queste piccole cose può nascere la passione per la Mtb.
Ci vorrebbe anche da parte della Fci un aiuto e un incentivo alla squadre e alle società che promuovono le attività con i giovani e l’organizzazione di escursioni cicloturistiche.
Non è facile che ci sia un boom improvviso, ma sono molto ottimista a riguardo del futuro della mountain bike...