Enduro con una protesi ? Daniele lo ha fatto e ora aiuta gli altri

Silvia Marcozzi
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Daniele Pepe, romano, 32 anni, è nato con un’agenesia al braccio destro, una malformazione che comporta il mancato sviluppo di parte dell’avambraccio e della mano.
Questo non gli ha impedito di arrivare oggi a praticare enduro con una protesi stampata in 3D che potremmo quasi definire "fai da te".  

In disaccordo con l’affermazione “non lasciare che la tua disabilità ti definisca”, Daniele riconosce nella disabilità una parte importante di sé.
Senza di essa probabilmente non sarebbe la persona tenace e creativa che è diventato. E non avrebbe dato vita al progetto che vogliamo raccontarvi qui. 

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Daniele Pepe con la sua Yeti SB115 / Foto: Andrea Cimini



Appassionato di sport sin da bambino, la bici è per lui amore a prima vista. Fino ai 26 anni pratica Mtb con una mano sola, finché non scatta in lui il desiderio di fare qualcosa di più.
Vuole affrontare percorsi più tecnici e sfide più impegnative, e godersi le sensazioni che solo i sentieri e il contatto con la natura riescono a trasmettergli. 

Sa che per farlo avrà bisogno di una protesi per questo e inizia ad informarsi su quello che offre il mercato. 
Purtroppo però, se esistono protesi per l’uso quotidiano, la situazione cambia quando si parla di uso sportivo, in particolare per quanto riguarda gli arti superiori. 

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Foto: Andrea Cimini

La nostra percezione della disabilità nello sport si basa infatti sugli sportivi di alto livello che vediamo competere ai massimi livelli. Tuttavia si tratta di pochi casi particolari, per i quali vengono sviluppati supporti specifici. 

I costi di queste operazioni sono inaccessibili per una persona comune che voglia praticare sport a livello amatoriale. Daniele è in un vicolo cieco. Medici e studi protesici cercano di convincerlo ad abbandonare l’idea. L’invito è uno solo: scegliere un altro sport. 

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Foto: Andrea Cimini

Daniele però si conosce, sa che non cambierà idea facilmente e soprattutto ha già in testa quello che gli serve. Subito pensa alla stampa 3D, ma non è facile trovare uno studio che sia disponibile a lavorare con lui a questo progetto. 

Finalmente incontra i ragazzi dello studio Gulp che hanno la giusta visione per aiutarlo. Nel giro di pochi mesi Daniele è in sella alla sua Mtb con una protesi realizzata con fibre di nylon caricate al carbonio che gli consente finalmente di passare ad un livello di riding superiore.  

- Daniele, perché questo materiale? 

Le ragioni sono tante. All’inizio avevo pensato al titanio ma questo, come il carbonio, in caso di rottura diventa pericoloso. La possibilità che la protesi si rompa in caso di caduta va comunque presa in considerazione nel nostro sport.
Per la stessa ragione serviva qualcosa di economico, e il nylon da questo punto di vista è eccezionale. 

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- Quanto può costare una protesi di questo tipo?

A seconda del materiale utilizzato siamo nell’ordine di qualche centinaia di euro. Un costo ben diverso dai 50, 70mila che può costare una protesi sviluppata ad hoc in laboratorio.

- Cosa succede in caso di caduta?

In quel caso con una semplice rotazione del braccio, ovvero con un gesto molto naturale, la protesi si sfila dal braccio e resta attaccata alla bici. Normalmente gli ausili per gli arti superiori non sono pensati per sganciarsi così facilmente.
Chiunque vada in Mtb sa bene quanto possa essere pericoloso restare agganciati alla bici. Dopo sette anni di pratica (e di cadute) posso dire che la protesi non mi ha mai creato problemi e ad oggi non sono riuscito a romperla. 

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Foto: Andrea Cimini

- Si riesce davvero a fare enduro con una protesi come la tua o ci sono delle limitazioni rispetto a quello che puoi fare sui sentieri? 

Solo quelle che dipendono dalle mie abilità tecniche. La protesi consente di affrontare tutti i terreni, drop, salti… Quello che non riesco a fare dipende solo da me.
Anche se abbiamo aiutato persone che fanno discipline diverse, dal triathlon alla strada, per me è importante che le persone capiscano  che l’idea non è solo di portare le persone in bici ma davvero di metterle nelle condizioni di fare qualcosa di più.

- Che soluzione utilizzi per i freni? 

Questo è sempre la prima domanda che mi sento fare da chi va in Mtb. Inizialmente usavo un ripartitore di frenata Outbraker che era pensato proprio per persone con una disabilità. Questo dispositivo consente di distribuire la pressione tra anteriore e posteriore mediante una valvola posta accanto alla leva. Purtroppo non si tratta del sistema migliore perché la regolazione non è immediata e soprattutto la potenza del sistema frenante ne risulta molto ridotta. 

- E adesso invece?

Progredendo come ciclista ho sentito l’esigenza di un sistema più modulabile e ho provato il sistema a doppia leva di Hope Tech. Come mi hanno spiegato i tecnici di Hope, si tratta di un impianto sviluppato per chi preferisce azionare entrambi i freni con una mano, che pare abbia un suo mercato. Di certo imparare ad utilizzarlo non è stato immediato.

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Foto: Andrea Cimini

- Hai adottato altri accorgimenti sulla bici? 

Al momento no, in realtà. Un tempo utilizzavo un comando del cambio rotativo, ma non era abbastanza performante. Ora utilizzo un cambio elettronico con il controller posizionati in basso. In questo modo distribuisco meglio i vari comandi da azionare, reggisella, freni e cambio.

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Un dettaglio del manubrio di Daniele, che utilizza un sistema frenante con le leve posizionate entrambe dallo stesso lato.

- Parlaci dell’associazione che hai fondato, Together We Ride. Come è nata e perché? 

Together we ride è una realtà nata con l’idea di aiutare altre persone che si trovino a vivere la mia stessa situazione. L’associazione intende fornire gratuitamente protesi che consentano a chi ha il desiderio di tornare o cominciare ad andare in bici. I costi dello sviluppo vengono totalmente coperti dalle donazioni spontanee che raccogliamo.

- Queste protesi nascono come supporti specifici o sono riadattamenti del modello sviluppato per te?

Inizialmente pensavo che avremmo potuto adattare il modello sviluppato per me anche ad altri, ma ad oggi non è mai stato possibile. Ne abbiamo realizzate sei e per ogni persona è servito qualcosa di completamente diverso. Il tipo di uso, la fisicità, il feedback, ogni cosa cambia da persona a persona.

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Foto: Andrea Cimini

- Immagino che l’utilizzo della stampa 3D in questo caso offra molte possibilità...

Sì, esatto, e anche nel modo di lavorare cerchiamo di partire da un approccio  che è un po’ l’opposto di quello che avviene normalmente in uno studio protesico. In quel caso di solito si parte da modelli tra cui scegliere e ai quali adattarsi. Noi facciamo un po’ il contrario.
Spesso chiedo alle persone di descrivere o disegnare quello di cui pensano di avere bisogno e da lì partiamo. Spesso chi lavora già in questo ambito ha un’impostazione che non necessariamente è un vantaggio, perché pensa già a cosa non si può fare. 

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Giorgio (in foto) e’ un atleta di triathlon che a seguito di un incidente ha perso una mano. Voleva tornare in bicicletta in sicurezza e in maniera prestazionale. La soluzione che Together We Ride ha pensato per lui sono due ausili che gli permettano di spostare il braccio e quindi passare da una “presa alta” ad una “presa bassa” in maniera fluida.

- Quanto tempo serve per lo sviluppo di una protesi?

Nel mio caso ci sono voluti sei mesi di prove perché abbiamo dovuto utilizzare la tecnica della fotogrammetria per avere un modello del mio braccio. Parliamo di sette anni fa.
Nel frattempo lo studio si è dotato di uno scanner 3D che ha semplificato moltissimo il processo di misurazione. Dopo la scansione in genere il processo di ingegnerizzazione è piuttosto veloce. Nel giro di tre settimane siamo in grado di fornire un primo prototipo da testare. 

- Le potenzialità sembrano davvero incredibili!

È così. Il nostro problema è solo quello di farci conoscere per intercettare le persone che possiamo aiutare. Come associazione esistiamo da poco ma con orgoglio posso dire di non avere mai ricevuto dei no come risposta.
Nel mondo della Mtb e del ciclismo in generale sto scoprendo una grande sensibilità. Quello che facciamo ora mi ha dato la possibilità di conoscere tantissime persone che si adoperano per gli altri nel più completo silenzio. 

- Qual è l’obiettivo che vi ponete come associazione ora?

L'intenzione ora è soprattutto quella di far sapere alle persone che vogliono andare in bici e pensano di dover rinunciare per una disabilità che possiamo aiutarli. 
Speriamo anche di riuscire a fare network con altre realtà che ci consentano di raggiungere più persone in tutta Italia. Ad esempio per le scansioni 3D sarebbe più semplice avere dei punti di appoggio anche fuori Roma.
Un'altra cosa che vogliamo fare è portare questo progetto nelle scuole, dove ci sono menti fresche e creative che possono aiutarci a pensare fuori dagli schemi.

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Il mondo che Daniele ci racconta è affascinante e ve ne potremmo parlare ancora a lungo. È un mondo dove quello che dovrebbe essere un problema si può trasformare in un’opportunità.
Dove i “problemi” equivalgono a soluzioni e tante persone significano altrettante opportunità, diverse e nuove.

È ancora un altro tassello del mondo bici che ci fa guardare alla nostra Mtb come ad un potente strumento di connessione tra le persone.

Perchè quello che passa attraverso il canale di una passione comune arriva sempre a segno e rimane. La storia di Daniele ci insegna che se cerchiamo di guardare oltre il problema vedremo qualcosa che prima non c’era. 

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Foto: Andrea Cimini

Per seguire l’associazione di Daniele potete visitare il sito togetherwerideaps.com.
Potete fare una donazione o semplicemente parlare di loro e aiutarli a raggiungere altre persone che potrebbero averne bisogno per realizzare il sogno di andare in bici.
È anche possibile destinare a Together We Ride il proprio 5 per mille.

Qui invece trovate la pagina Instagram di Daniele. Per conoscerlo meglio vi consigliamo anche la visione di questo video del fotografo e free runner Andrea Jump Cimini che racconta la “fortuna” di Daniele.

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Sull'autore
Silvia Marcozzi

Vivo da sempre in equilibrio tra l’amore per lo studio e le parole - ho due lauree in lettere e un dottorato in lingue - e il bisogno di vivere e fare sport all’aperto. Mi sono occupata a lungo di libri e di eventi. Dieci anni fa sono salita su una bici da corsa e non sono più scesa, divertendomi ogni tanto a correre qualche granfondo. Da poco ho scoperto il vasto mondo dell’off-road, dal gravel alla Mtb passando per le e-Mtb, e ho definitivamente capito che la mia sarà sempre più una vita a pedali.

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