Come se non fossero bastati 10 anni di gare sempre ai massimi livelli, Eleonora Farina è entrata di diritto nella storia della downhill con una vittoria leggendaria nella gara di Coppa del Mondo di Les Gets lo scorso weekend.
Bisogna tornare indietro di oltre 30 anni per trovare l'altra italiana che era riuscita in un'impresa simile.
Era il 1993 e Giovanna Bonazzi si aggiudicava oltre ad una gara di Coppa del Mondo anche il mondiale DH per la seconda volta (la prima era stata nel 1991 in Italia, al Ciocco).
Da allora la downhill è cambiata tantissimo, seguendo e dettando allo stesso tempo, l’evoluzione tecnologica della Mtb.
Oggi il livello è altissimo, anche in ambito femminile e se c’è una ragazza che è riuscita a tenere il passo di questa crescita vertiginosa è stata proprio Eleonora Farina.
Ele, così la conoscono tutti, è una sportiva di razza, nata e cresciuta in una regione (il Trentino-Alto Adige, di cui è anche testimonial) che le ha sempre messo a disposizione il contesto ideale per chi, come lei, non sa stare senza fare sport.
La bici però è arrivata relativamente tardi, a vent’anni.
Dopo lo sci, l’arrampicata, l'atletica e molto altro.
Una base che unita al talento e alla passione che si è accesa in lei da subito ha portato Eleonora Farina ad eccellere subito nelle competizioni (anche queste, da sempre, nel suo DNA), e a guadagnarsi l’accesso alle gare di Coppa del Mondo dopo solo un anno.
Elite nel 2014, nel 2015 Eleonora Farina è già in Coppa del Mondo (lo stesso anno in cui inizia anche l’altro pilastro della DH femminile italiana, Veronica Widmann), e lì resterà, sempre a lottare per le prime posizioni della classifica, fino ad oggi.
Tanti podi, tante soddisfazioni, ma la vittoria ancora mancava. È arrivata nel giorno più difficile, in quella che per molti è stata una giornata da incubo, in una Les Gets zuppa di pioggia.
Il programma di gara è stato rivisto per permettere alle squadre di sgomberare l’area di gara il prima possibile, e le condizioni, se possibile, sono andate peggiorando costantemente dalle qualifiche fino alle finali, che si sono svolte quasi costantemente sotto la pioggia battente.
La run vincente di Eleonora Farina è stata perfetta, senza errori, senza incertezze, su un terreno dove era difficile persino stare in piedi.
Un capolavoro che non è stato la conseguenza di un momento fortunato, ma che è stato costruito e voluto (qui sotto il video della run completa).
- Ho vinto di testa - dice Eleonora Farina - sapevo cosa dovevo fare quando sono scesa.
Ho cambiato gomme all’ultimo e anche questo è servito.
Solitamente non penso a niente quando scendo, ma ricordo bene che dopo le prime curve, quando ho visto il prato bagnato in contropendenza ho fatto un respiro e dentro di me mi sono detta: “Sai come farlo”.
Da lì non ricordo più nulla, ho dovuto riguardare il filmato della GoPro perchè ero completamente focalizzata.
Era da un po’ che cercavo questa run e questa sensazione.
Ora mi piacerebbe rifarlo!
- Possiamo dire che questa vittoria è il frutto di questi dieci anni di esperienza?
- Sicuramente sì.
Sono grata a tutta la mia squadra, alla famiglia, agli amici e a tutte le persone che mi sono state vicine in questo percorso per questo risultato.
- Hai scritto sui tuoi social che si chiude così un ciclo e se ne apre uno nuovo. Che cosa porti con te da questa vittoria? Affronterai in modo diverso le prossime gare?
- Nei giorni dopo la gara sono stata male, ho avuto la febbre alta come non mi capita mai e per alcuni giorni non ho toccato la bici.
Nel frattempo hanno continuano ad arrivarmi messaggi e attestazioni di stima e di affetto da tutte le persone che ho conosciuto in questi anni e mi ha colpito molto quanto tutti fossero davvero felici per me.
E’ una cosa che ho sentito subito, anche con le altre ragazze, mentre ero sulla hot seat.
Tahnee Seagrave mi ha abbracciata subito, Mille Johnset teneva il conto dei tempi, era più eccitata di me.
È stato davvero molto bello.
Nelle prossime gare penso che mi porterò dietro una consapevolezza diversa.
Sapevo di poter raggiungere questo traguardo, e il fatto di esserci riuscita mi dà una fiducia nuova.
Anche se sapevo di poterci arrivare ora ho avuto la conferma che è davvero possibile, e quindi che potrei farlo succedere di nuovo.
Questo mi motiva molto.
- Questo traguardo è arrivato dopo un anno un po’ complesso per te. La stagione scorsa è stata caratterizzata da tanti alti e bassi, con la vittoria dell’Europeo e tanti buoni risultati ma anche con due infortuni ad aprire e chiudere la stagione.
- L’anno scorso l’infortunio alla clavicola è arrivato davvero nel momento sbagliato, mi ero allenata veramente bene durante l’inverno ed ero molto carica per la nuova stagione.
Mi sono fatta male nel mio giorno di riposo dagli allenamenti mentre ero in giro in gravel senza nemmeno finire a terra: davvero assurdo.
Il mio motto però è che c’è sempre una ragione per tutto: “Everything happens for a reason”.
Così ho cercato di farlo valere anche in questo caso.
La delusione ovviamente è stata forte ma dopo l’operazione per mettere la placca ho continuato a lavorare, ero sempre sul percorso con la squadra, sono rimasta sul pezzo.
Stare nell’ambiente una volta superato il dolore è importante.
Ho lavorato con la riabilitazione e aspettato anche un po’ di più di quel che avrei potuto per tornare al 100%.
Quando sono rientrata, nonostante la bici fosse un nuovo prototipo che non avevo ancora avuto occasione di provare, ho fatto subito dei buoni risultati.
Un secondo posto agli Italiani, la vittoria agli Europei, top ten ai Mondiali e un quinto posto in Coppa del Mondo ad Andorra...
Mi sentivo bene e andavo bene bene.
Poi ho iniziato a spingere, forse non conoscevo ancora abbastanza la bici e ho iniziato a cadere.
A Snowshoe sono andata giù rovinosamente. Pensa che il manubrio si è spezzato in tre parti.
Certo, era la fine della stagione, ero stanca, l’infortunio ha coinvolto testa, collo e spalla, e quest’ultima in particolare è stata dura da recuperare.
Sono stata ferma a lungo, ma ne ho approfittato per rimettere in sesto un po’ di cose.
- Quest’anno con il passaggio a Intense della squadra hai anche cambiato bici dopo ben otto anni su Mondraker. Come ti trovi, com’è stato il cambiamento?
- Ho usato per la prima volta la Intense M1 a febbraio, dopo mesi in cui non avevo più fatto downhill.
La prima uscita l’ho fatta agli Scogli Rossi di Sanremo col bagnato.
Sono scesa subito con il sorriso sulle labbra, e questo la dice lunga sul mio primo impatto con la bici.
Diciamo che si sente che è una bici su cui è stato fatto tanto lavoro e che funziona davvero bene.
Ora mi sento bene, mi sento veloce, e devo dire che per me il fatto di cambiare è stato uno stimolo nuovo, ero davvero curiosa di provare qualcosa di nuovo.
Dopo tanti anni sulla stessa bici anche il mio stile di guida si era formato su Mondraker e sapevo che per me sarebbe stata una sfida quella di adattarmi a un mezzo nuovo, e a me le sfide piacciono sempre.
- Anche dopo tanto tempo hai sempre un atteggiamento positivo di fronte a quello che altri potrebbero vivere come difficoltà.
- Assolutamente, come nella gara di Les Gets. Giravo praticamente da due mesi sul bagnato e di fronte alla pista in quelle condizioni ho voluto vedere un’opportunità anziché un ostacolo.
Nella downhill bisogna imparare a fare i conti con la paura, con le difficoltà di continuo.
Io sono molto emotiva, nel senso che sperimento davvero tante emozioni e pensieri e la cosa bella è che questo sport ti obbliga in qualche modo a gestirle nel momento, ad essere lì, che poi è quello che devi fare di fronte alle sfide di ogni giorno.
- Anche il fatto di praticare tanti altri sport contribuisce a mantenerti motivata?
- Sicuramente, e al di là del lavoro di preparazione fisica il fatto di fare altri sport mi aiuta anche a restare “flessibile”.
Ogni inverno cerco di inserire un’attività completamente nuova nella mia routine proprio per questo motivo, ed è vero che alla fine quello che impari a fare nello sport ti serve poi nella vita.
- C’è qualcosa che ti pesa della vita da sportiva professionista?
- Solo a volte il fatto di viaggiare tanto, ci sono momenti in cui avrei voglia di avere un po’ più di tempo per stare a casa, ma la vita che faccio mi piace davvero tanto.
- Cosa ti auguri per il resto della stagione?
- Diciamo… di continuare così!
Ora c’è una pausa con la Coppa del Mondo ma ci sono tre appuntamenti importanti di seguito, gli Italiani questo weekend, poi l’Europeo e il Mondiale.
Di sicuro sono motivata a lavorare ancora, mi sento bene, mi sento veloce, e poi so di avere ancora tanto margine di miglioramento.
Di recente ho lavorato sulla posizione in bici e penso di avere risolto qualcosa che mi portavo dietro da tempo.
Finché ci sono aspetti su cui lavorare significa che si può migliorare.
- In genere cosa pensi dell’evoluzione che sta attraversando la downhill in questo momento?
- E’ chiaro che siamo ad una svolta importante dello sport.
Capisco che c’è la necessità di ridurre il numero dei rider, siamo circa 400 e nei giorni di gara si creano code, ritardi, è un problema oggettivo.
L’introduzione della semi-finale serve a fare questa scrematura per arrivare ad un pacchetto più spendibile per la gara finale, ma ovviamente non è una cosa che fa impazzire i rider.
Stesso discorso per il sistema dei protetti.
- E della DH femminile cosa pensi? A livello globale le donne sono cresciute tantissimo, sia come numero che come livello. In Italia però tolte voi atlete di coppa (oltre a Eleonora Farina si contano le italiane Veronica Widmann e Gloria Scarsi) forse la crescita segna un po’ il passo?
- Bisogna dire che in generale la considerazione degli atleti italiani in Coppa negli ultimi anni è cresciuta tantissimo.
Abbiamo sempre più atleti di alto livello, penso a Christian Hauser ma anche ai bellissimi risultati recenti di Introzzi, Palazzari e Revelli.
Anche a livello di team c’è una crescita importante, vedi i team manager come Andrea Gotti in Canyon Pirelli e Leo Pedoni con il Rogue Racing.
Ci siamo insomma, non siamo più una presenza marginale come qualche anno fa.
Quello che manca è un po’ il passaggio tra questo contesto e il movimento che vedo nelle gare italiane.
Quando partecipo agli eventi italiani è bellissimo vedere che le ragazze sono sempre di più, che i rider sono tanti, che il movimento è sano e cresce.
Però manca un percorso che accompagni i ragazzi verso un contesto e un atteggiamento più professionale.
L’approccio che vedo negli eventi italiani rischia di tenerci un po’ lontani dal livello che si trova nelle gare internazionali, dove ad esempio si ha pochissimo tempo per provare.
Bisogna abituarsi a un modo di correre un po’ diverso per riuscire a fare poi il salto che serve ad esempio per qualificarsi per la Coppa.
Però vedo una crescita e sono sicura che ci arriveremo e che riusciremo a restare competitivi.
Saluto Eleonora Farina che torna ai suoi impegni e agli allenamenti in vista dei prossimi imminenti impegni di stagione.
La passione, l'energia e la professionalità con cui affronta e vive questo sport sono di grande ispirazione e questo rende ancora più preziosa la sua vittoria.
Grazie Ele per le emozioni che ci hai fatto vivere, e in bocca al lupo per tutte le sfide che ancora ti aspettano...
Qui tutte le interviste e audio interviste realizzate da MtbCult.it
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Sull'autore
Silvia Marcozzi
Vivo da sempre in equilibrio tra l’amore per lo studio e le parole - ho due lauree in lettere e un dottorato in lingue - e il bisogno di vivere e fare sport all’aperto. Mi sono occupata a lungo di libri e di eventi. Dieci anni fa sono salita su una bici da corsa e non sono più scesa, divertendomi ogni tanto a correre qualche granfondo. Da poco ho scoperto il vasto mondo dell’off-road, dal gravel alla Mtb passando per le e-Mtb, e ho definitivamente capito che la mia sarà sempre più una vita a pedali.