L’Enduro dei Lupi di Coggiola (Bi) è stata l’ultima della Coppa Italia Enduro 2015 e ha decretato quindi i vincitori, ovvero Nicola Casadei e Laura Rossin.
La tappa piemontese è stata vinta da Denny Lupato (tre Speciali su tre) davanti a Nicola Casadei e Vittorio Gambirasio.
Fra le donne la vittoria di Coggiola è andata a Laura Rossin davanti a Chiara Pastore, Alia Marcellini e Sara De Leo.
Nelle categorie giovanili i successi sono andati a Simone Martinelli fra gli allievi e a Simone Pelissero fra gli esordienti.
In tutto 170 concorrenti al via.
E adesso le emozioni in gara di Francesco “Franz” Savona.
SL
Il weekend scorso sono tornato a correre a Coggiola per il “secondo round” dell’Enduro dei Lupi.
Il primo appuntamento è stato ad aprile, a inizio stagione, per disputare la gara inserita nel circuito piemontese 360 Enduro; questa volta, invece, la località piemontese ha fatto da cornice all’ultima prova della Coppa Italia Enduro.
Chi ha già gareggiato da queste parti sa che non è la “solita” gara con tre risalite “corte” da 400 metri di dislivello ciascuna.
Per alzare il livello, trattandosi di una competizione di livello nazionale, Fulvio Lupato (papà dei celebri Lupato Brothers e organizzatore dell’evento) ha tirato fuori una Speciale inedita: la partenza è dall’Alpe di Noveis, posta 700 metri più in alto dello starter, con una lunga (circa 10 km) e impegnativa risalita su asfalto.
Noveis, questo il nome della prima Speciale, è lunga e fisica: un single trail tecnico e tortuoso, che si sviluppa all’interno di un bosco d’alta montagna, caratterizzato da contropendenze, radici e tratti rocciosi, per poi continuare nella parte bassa su “Pian delle Rape”; qui ci aspetta una sezione intermedia pedalata, fino ad arrivare al paese con una serie di tornantini molto tecnici.
Circa quindici minuti di Speciale da affrontare a manetta! Davvero un gran bel lavoro, bravo Fulvio!
Le altre due Speciali, invece, sono delle superclassiche delle zona, la Gogher (PS2) e Bella Zio (PS3), riviste e corrette per l’occasione. Divertimento assicurato, visto che si tratta di due trail che alternano tratti flow a sezioni più scassate, con dei pezzi pedalati dove, chi ha “la gamba”, fa la differenza, per un totale di 35 km e 1521 metri di dislivello complessivo.
Come da tradizione, il meteo precedente la gara non è stato dei migliori: acqua e freddo hanno imperversato su tutto il Nord Italia, trasformando i trail in una saponetta.
Per fortuna, la domenica non è piovuto, ma il terreno era veramente insidioso.
Siamo a fine stagione, le energie sono scarse e il tempo per provare i percorsi è stato praticamente nullo (tranne una breve ricognizione sulla nuova PS Noveis).
L’obiettivo della gara, dunque, è uno solo: testare la nuova bici che ho da poco acquistato, “pensionando” finalmente il vecchio formato da 26” e passando a un più attuale 27,5” in vista della stagione 2016!
La settimana precedente la gara scorre freneticamente cercando di mettere a punto il mezzo, ritirato da pochi giorni.
La mia nuova compagnia di avventure è una Rocky Mountain Altitude 750 Rally Edition.
La componentistica di primo equipaggiamento non è delle migliori e, sebbene possa andare bene per affrontare il classico giro all mountain con gli amici, è in realtà poco adatta per reggere “gli strapazzi” di una competizione di enduro.
Per prima cosa “latticizzo” le gomme, per ridurre il rischio di pizzicature e forature; installo poi, una coppia di dischi Braking semi-flottanti, decisamente più performanti di quelli di serie, al fine di ottimizzare il comportamento delle validissime pinze Shimano SLX in discesa. D’obbligo poi montare un mono dotato di piggyback, per evitare che l’ammortizzatore perda di efficacia sulle lunghe discese e renda più fluida l’azione del carro posteriore: la scelta è ricaduta sul validissimo RockShok Monarch Plus DebonAir.
Direi che per un primo test queste modifiche possano bastare…
Alle 10.23 parto. Il primo trasferimento è il più impegnativo e lungo della giornata. Vado su col casco aperto, perché la strada è tanta e i tempi di trasferimento sono “tirati”: ho bisogno di aria per riempire i polmoni! Arrivo su con circa 10 minuti di anticipo, il tempo di tirare il fiato, rifocillarmi e mettere le protezioni.
“Tre, due, uno… via”.
Parto.
L’idea è quella di non strafare nella prima parte, resa insidiosa dalle piogge dei giorni prima, con radici viscide come saponette e sassi lucidi come palle da biliardo, per poi “spingere” nella seconda sezione, decisamente meno impegnativa e più flow.
In realtà la discesa nella pineta si rivela subito “un inferno”: le ruote scappano via da tutte le parti e le gambe, già messe a dura prova dalla lunga risalita, sono costrette agli straordinari per far fronte ai continui rilanci di questa interminabile speciale, chiusa con un tempo di 16 minuti. Come tutti, arrivo giù praticamente senza ossigeno.
Ma non c’è tempo da perdere: i trasferimenti sono abbastanza “tirati” e così, ancora col fiatone, mi avvio sulla seconda risalita.
Arriverò con circa 5 minuti di anticipo, tirando come un forsennato.
Fortuna che la bici in salita, col mono chiuso, scorre alla grande. Cinquanta minuti di tempo per effettuare il tratto che va dal paese all’inizio della Gogher, non lasciano “tanto spazio” a goliardiche chiacchierate con gli amici.
Poco importa: sono al via della seconda Speciale totalmente “ubriaco”. Parto, ma, dopo l’ennesima risalita “tirata”, la lucidità viene meno e, come temevo, compaiono i crampi.
Risultato: a metà Ps sono letteralmente immobilizzato.
Dal punto di vista della classifica per me la gara è finita, ma stringo i denti perché voglio chiuderla.
La Gogher è forse la più scassata e ha due rilanci micidiali: uno a metà PS e il secondo collocato prima delle rampe finali.
In qualche modo riesco ad arrivare giù e a “timbrare” in orario al CO.
Finalmente io e gli altri concorrenti possiamo tirare il fiato. Faccio qualche domanda qua e là per vedere se ero io fuori forma (possibile ovviamente, anche se con dieci gare all’attivo in questa stagione e tante uscite in montagna non credo…).
Senza troppe sorprese, trovo conferma alle mie sensazioni: tempi stretti per i trasferimenti. D’accordo che è una gara di livello nazionale, ma se cominci a vedere più di un partecipante coi crampi, concorrenti che si “lamentano” o che prendono penalità ai “trasferimenti”, beh… qualcosa non torna.
Riparto per l’ultima Ps, “Bella zio”.
So di non avere nulla da perdere, ormai la classifica è “andata” e così la prendo con filosofia. Il tempo minaccia pioggia, ma per fortuna regge e così posso affrontare l’ultima discesa all’asciutto.
Tutto fila liscio senza grossi intoppi: zero crampi, gambe che “girano” e testa “lucida”, il tutto “condito” da un tifo degno di una finale di Coppa del mondo.
Mi godo così il nuovo mezzo che, col setup giusto, si è rivelato un’arma formidabile per le gare di Enduro, anche se lo sapevo già!
Stabile in salita e un razzo in discesa, con un carro molto “plush”. Merito del mono RockShox e del Ride 9 che consente di regolare la curva di compressione del carro, permettendo di scegliere tra una risposta un po’ più progressiva (e quindi più duretta) oppure più lineare (e quindi molto sensibile sulle piccole asperità).
E con questa prova, ben organizzata e di indubbia soddisfazione, anche se dura e faticosa, cala il sipario sulla Coppa Italia Enduro che, tra luci e ombre, quest’anno ha provato a raccogliere la pesante eredità lasciata dal Superenduro di Enrico Guala e Franco Monchiero.
Voci di corridoio danno per imminente il ritorno del circuito per il 2016, con prove belle toste e qualche location inedita (c’è addirittura chi parla di una prova in Val di Sole).
Non ci resta che aspettare l'eventuale conferma da parte dei diretti interessati.
Qui tutti gli articoli sulla Coppa Italia Enduro 2015
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Redazione MtbCult
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