Cosa vuol dire essere un professionista del pedale?
E’ una domanda alla quale, temo, in pochi saprebbero rispondere davvero.
Il sospetto si è concretizzato proprio durante i Giochi Olimpici, leggendo i commenti, anzi, l’asprezza nei commenti di alcuni di voi sulla nostra pagina Facebook.
Ferma restando la necessità di un linguaggio civile (che esorto tutti voi a utilizzare sempre), i commenti sono liberi e aperti a tutti e vi ringrazio a nome di tutto lo staff di MtbCult per la vostra partecipazione.
Ma c’è un “però” che si concretizza con la domanda iniziale di questo articolo: cosa vuol dire essere un professionista del pedale?
A giudicare da come sono stati commentati i nostri post e i nostri articoli su Rio 2016, a questa domanda in molti non saprebbero cosa rispondere davvero.
Oppure, peggio ancora, avendo una visione distorta di cosa voglia dire essere un pro’, risponderebbero in modo errato.
Durante la mia attività di giornalista ho avuto modo di seguire tantissimi eventi, comprese tappe di Coppa del mondo, Mondiali e anche un’Olimpiade e quando ho iniziato ero più o meno un semplice grande appassionato di Mtb.
Avevo una certa idea di cosa volesse dire “fare il professionista”.
Tipo: allenarsi tutti i giorni, fare tantissimi chilometri in un anno, partecipare alle gare che contano, avere un motore da paura, usare i migliori mezzi disponibili, avere la notorietà e l’affetto del pubblico.
Wow!
E chi non vorrebbe essere un pro’?
Quando però entri di più nel cuore delle cose e ti avvicini alle emozioni, ai timori e alle fatiche di chi fa quella vita tutto l’anno, tutti i giorni e per svariati anni, capisci che, beh, allora non è proprio il life style facile e piacevole che si poteva immaginare.
Non basta avere la dedizione nel fare chilometri, nel rispettare la dieta e la vita da atleta, ma serve tanto di più.
Prima di tutto servono le doti di Madre Natura, perché essere un pro’ significa avvicinarsi moltissimo allo stato di campione.
E i campioni nello sport sono pochissimi.
I pro’ nello sport sono numericamente un po’ di più, ma sono comunque una piccolissima parte rispetto al numero totale dei praticanti di un dato sport.
Di qualunque sport.
Ma c’è una cosa in particolare che pochissimi di noi hanno (unitamente a tutte le altre doti richieste per essere un pro’): saper finalizzare la propria vita per la prestazione agonistica e per il risultato sportivo.
Il che tradotto significa, non solo allenarsi duramente e tenere il proprio motore sotto controllo, ma anche essere in grado di gestire pressioni (quelle create dagli sponsor e da se stessi) che sono commisurate alla grandezza dell’obiettivo agonistico prefissato.
Riuscite a immaginare l’impegno che ogni atleta mette per preparare un’Olimpiade?
Io personalmente, no.
Durante i Giochi di Rio 2016 ne avete avuta anche qualche dimostrazione.
Avete letto (e avrà stupito anche voi) del 5% di grasso corporeo di Julien Absalon.
Avete letto e seguito come Nino Schurter ha programmato la stagione 2016 in funzione di Rio 2016.
E avete anche immaginato con quale pressione Marco Aurelio Fontana si sia presentato allo start di Rio 2016 dopo un paio di stagioni di certo non brillantissime.
Stesso discorso per tutti gli altri atleti.
Tutti, dal numero 1 al numero 50.
Voi, appassionati di ciclismo e di mountain bike, non sarete mai dei pro’ solo perché, appunto, siete dei grandi appassionati, macinate chilometri, avete le gambe più scure di tutti e impegnate i vostri fine settimana con le gare in Mtb.
Sapete bene che questo non è nemmeno lontanamente sufficiente.
Fatevene una ragione: Madre Natura non vi ha dato quelle doti.
Ma vi è stata data un’altra grande opportunità: quella di aver scoperto la bicicletta, con ruote grasse o strette, fate voi.
Non andrete mai a gareggiare al Tour de France e nemmeno indosserete la maglia azzurra ai Mondiali di Mtb, perciò, magari, vivete la bici con lo spirito di chi se la sa godere e non con il livore e l'invidia di chi “peccato che debba andare a lavorare tutti i giorni sennò sarei in Coppa del mondo anch’io” perché non è così.
Punto.
Ora, alla luce di quanto scritto, provate a rileggere le imprese sportive di Rio 2016.
Ps: spero davvero di leggere commenti più sereni perché, a noi comuni mortali, la bici serve solo a questo: vivere più sereni.
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Sull'autore
Simone Lanciotti
Sono il direttore e fondatore di MtbCult (nonché di eBikeCult.it e BiciDaStrada.it) e sono giornalista da oltre 20 anni nel settore delle ruote grasse e del ciclismo in generale. La mountain bike è uno strumento per conoscere la natura e se stessi ed è una fonte inesauribile di ispirazione e gioia. E di conseguenza MtbCult (oltre a video test, e-Mtb, approfondimenti e tutorial) parla anche di questo rapporto privilegiato uomo-Natura-macchina. Senza dimenticare il canale YouTube, che è un riferimento soprattutto per i test e gli approfondimenti.