Che cosa vuol dire essere un professionista della Mtb?
Non azzardate risposte scontate, perché questa è una domanda difficile (ne avevamo già parlato, ricordate?).
A seconda della specialità in cui si gareggia le carte in tavola possono cambiare, ma di base il concetto è che “devi portare a casa i risultati”.
Vittorie, piazzamenti pesanti, visibilità sui media, seguito sui social, foto, video, like, condivisioni, contratti e poi ancora risultati, richieste degli sponsor…
Insomma, un bell’inferno.
Avere la notorietà non è solo oro, ma è anche un bella pressione da gestire a tutte le ore.
E questo vale per qualunque pro’.
Ma come cambia la vita da pro’ fra uno che fa Xc e uno che gareggia nell’enduro?
Di fondo l’obiettivo è sempre lo stesso: risultati.
Solo che nel cross country il fattore atleta rispetto al fattore pilota è ancora più importante.
Senza nulla togliere alle difficoltà tecniche dei percorsi Xc di oggi, chi fa il professionista nell’enduro si trova spesso a fare i conti con un fattore che è molto difficile da gestire: progredire a livello tecnico.
Cioè, migliorare le proprie capacità di guida.
Impegnarsi a essere più fluidi e veloci.
E questa necessità, pensateci bene, è un impegno mica tanto banale.
Una volta eravamo più "figli della strada".
Nel senso (fermate le battute…) che la Mtb era una derivazione della bici da strada anche come format agonistico e come livello di difficoltà dei percorsi.
Cioè, era tutto più semplice (ma anche le Mtb erano molto meno evolute di oggi) e, a parte qualche eccezione, le gare di Mtb non erano impegnative tecnicamente come lo sono ora quelle di Xc.
Quindi, si allenava il motore e, poi, le proprie capacità di guida.
Qui, però, vengono alla memoria di chi scrive delle eccezioni notevoli come può essere John Tomac, che a una base di tecnica super solida aveva aggiunto un po’ di motore.
Anche un bel po’ di motore, visto che per vincere il mondiale Xc nel 1991 si era allenato anche su strada (correndo ad esempio la Parigi-Roubaix…).
Ma torniamo ai giorni nostri e al tema dell’articolo.
Cosa vuol dire essere un professionista della Mtb?
Fra gareggiare nell’Xc e nell’enduro non cambia poi tanto.
Il fattore atletico è egualmente importante in entrambi i casi, anche se nell’Xc di motore ne serve di più perché c’è anche la salita in gara.
Sul fronte della tecnica, invece, siamo alla pari.
Oggi, sì, siamo alla pari.
E su un’altra cosa siamo alla pari: la costanza nei risultati.
Nessuno fra i big ti viene a dire: “Oggi piove e io sul fango vado poco, quindi non aspettatevi risultati da me".
Si va e basta.
Essere sempre competitivi è una sfida enorme.
Riuscire a essere sempre lì, nelle parti alte della classifica, è il dato inequivocabile che attesta il tuo status di professionista.
Come Jerome Clementz.
Leggete cosa ha scritto su Facebook qualche ora fa:
Cioè durante la sua attività come rider nell’Enduro World Series dal maggio del 2013 a Punta Ala a oggi è sempre riuscito a chiudere le gare dell'Ews alle quali ha partecipato nei primi 20.
Oggi non gli riesce più facilmente di piazzarsi sul podio, ma quel "cagnaccio" di Clementz è sempre lì, non molla mai e ha sempre una grande motivazione.
Chapeau, Jerome.
Questo è un esempio di cosa voglia dire essere un professionista della Mtb.
Poche chiacchiere, talento vero e un impegno costante tutto l’anno.
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Sull'autore
Simone Lanciotti
Sono il direttore e fondatore di MtbCult (nonché di eBikeCult.it e BiciDaStrada.it) e sono giornalista da oltre 20 anni nel settore delle ruote grasse e del ciclismo in generale. La mountain bike è uno strumento per conoscere la natura e se stessi ed è una fonte inesauribile di ispirazione e gioia. E di conseguenza MtbCult (oltre a video test, e-Mtb, approfondimenti e tutorial) parla anche di questo rapporto privilegiato uomo-Natura-macchina. Senza dimenticare il canale YouTube, che è un riferimento soprattutto per i test e gli approfondimenti.