Quella che state per leggere è una bravata.
Di cui andare fieri e/o da cui tenere alla larga gli amici.
Ma gli amici “sani”, non quelli malati di mountain bike come me.
Il nocciolo della questione è uno: scoprire nuovi sentieri, nuovi scenari, nuovi panorami è la parte più emozionante della Mtb.
Una droga.
E quando scopri uno strumento come Komoot che riesce a farti scoprire gioielli di sentieri dietro casa, nonostante tu possa definirti una leggenda locale di questo sport, beh, allora la porzione razionale del tuo cervello diminuisce drasticamente.
Lo dico per esperienza diretta.
Ma veniamo al dunque.
Sono davanti al Pc.
Sul profilo Komoot di MtbCult.
Pianifico la rotta.
Scelgo un posto sopra Filettino, ossia un paesello a circa 1000 metri di quota, ai piedi del Monte Viglio (2156 metri), nel cuore dell’Appennino laziale.
E’ un giro esplorativo all’interno di un bosco di faggi molto esteso e che ho già percorso 6 anni fa con una Mtb.
Spingendola per la maggior parte del tempo.
Il fondo del bosco era pieno di foglie, rami, tronchi e pendenze che non erano facilmente fattibili con una Mtb.
Voglio tornarci con una e-Mtb, sicuro di riuscire a ridurre di molto i tempi e di stare più tempo in sella.
Cioè, penso, vado a divertirmi su un single track in mezzo al bosco che rimane più o meno sempre alla stessa quota.
Figo, no?
A voi non verrebbe voglia di provarci?
Per poi invitare i vostri amici a rifare questo giro?
Si chiude la vena, non sento più ragioni, preparo tutto e parto.
Sono le 16:32 quando avvio il Garmin.
E’ un po’ tardi, ma sfrutto le lunghe giornate di luglio e non ci penso troppo.
Lungo la strada accetto anche di buon grado di fare una sosta per un gelato e un po’ di thé freddo.
Dieci minuti e riparto.
Dopo circa 23 km e con una batteria al 75%, arrivo all’inizio vero e proprio dell’avventura.
Lascio la strada asfaltata ed entro sullo sterrato, dove presto le tracce antropiche diventeranno sempre più rade.
Cioè, entro in quella dimensione che sa esaltare qualunque amante della Natura.
La salita è su sterrato, dentro un bosco composto, prima di roverella, querce e carpino, e poi, man mano che si sale, quasi solo di faggi.
Pedalo agile, usando sempre l’assistenza Eco (che però ho impostato in modo abbastanza “robusto” sulla Turbo Levo: livello di supporto 25%; potenza di picco: 65%, come mostrato in basso) e nel breve volgere di qualche km mi ritrovo da quota 840 a 1200 metri e rotti.
Mi fermo, attivo il percorso appena creato sul Garmin e da qui procedo seguendo le indicazioni di Komoot.
La strada continua a salire e lo scenario è da favola, ma soprattutto è l’emozione di pedalare per la prima volta su una strada che, sebbene non proprio dietro l’angolo, posso definire “di casa”.
La guida della bici di per sé non è emozionante, ma le emozioni vengono da altrove: scoprire il bosco e sentirsi accettato è magnifico.
La mia regola è semplice: dove c’è silenzio, rimanga silenzio.
Utile anche a captare l’eventuale presenza di animali.
Che, ieri, è stata solo di qualche cinghiale e un cerbiatto.
Arrivo al punto di svolta.
Qui devo decidere se proseguire l’esplorazione (e farla diventare molto più impegnativa) oppure scendere su un sentiero del CAI verso Filettino.
Sentiero che non conosco e che, ne sono certo, sarà molto interessante.
Però, no, non ne sono convinto.
Mi sembra di accettare un ripiego.
Guardo il sole, che è ancora alto.
Il tramonto, dice il Garmin, è stimato alle 20:40, quindi di ore di luce ne ho ancora due e mezza.
Deciso, vado.
Inizio a salire su un singletrack che finalmente impegna la guida e passo alla modalità Trail, perché la pendenza, qui, è molto maggiore.
Komoot mi aveva avvisato di questo.
Il fondo è ancora ok e la gomma dietro, una Vittoria e-Martello da 2,35”, tiene bene.
La luminosità è scesa parecchio, perché sopra le fronde degli alberi ci sono nuvole basse, o forse nebbia.
Dentro al bosco sembra quasi notte.
Drizzo le orecchie.
Spalanco gli occhi.
Capisco che sono in stato di allerta.
Allerta, non pericolo.
Almeno per ora.
“Vai avanti”
Non devo pensare ad altro se non ad andare avanti.
Il Garmin mi dice che fra 4,4 Km uscirò dal bosco per prendere un altro sentiero, definitivamente in discesa.
So di essere passato qui 5 anni fa con Stefano e Paolo, in tutt’altre condizioni.
So di esserci già riuscito e oggi, per giunta, sono con una bici elettrica.
La cui batteria è al 45%.
Ossia, quanto basta (e avanza pure) per tornare a casa.
Ma devo stare attento.
Ho la traccia visualizzata sul Garmin, ma il bosco nasconde spesso il sentiero e l’unica guida sono i segni bianco-rossi sugli alberi.
A volte ravvicinati, a volte distanti e addirittura sbiaditi.
Tanti alberi caduti.
Rami a non finire.
Che mi fanno tremare: ricordo bene di aver spaccato diversi cambi in passato a causa dei rami…
“Occhio, vecchio mio, occhio”
Guido senza fretta.
L’obiettivo è non rompere la bici, perché qui sarebbe davvero un guaio.
E se accadesse, come farei?
Ci penserò se dovesse accadere.
Vado avanti.
I segni bianco rossi sono la mia guida.
Il punto di svolta sul Garmin si avvicina.
Sono a 2,2 km, cioè ho fatto metà strada.
Mi arresto.
Alberi giganti caduti, sentiero indecifrabile.
Dov’è il prossimo segno?
Mi guardo intorno, non vedo nulla.
E’ buio.
Rami caduti ovunque.
Piccolo momento di panico.
Da qui non te ne puoi andare.
Non ci sono scappatoie.
Non puoi invertire la marcia e tornartene in discesa.
“Devo andare avanti”, mi dico.
Lascio la bici a terra, come punto di riferimento, e mi allontano un po’ a piedi.
“Dovrebbe essere in quella direzione”
Ma non lo trovo.
Oppure non lo vedo?
Il buio comincia a rendere la cosa meno piacevole e più rischiosa.
“Calma, adesso lo trovi”
E lo trovo!
Eccolo lì, sbiadito.
Riprendo il cammino e cerco di placare la frenesia di uscire dal bosco.
“Tutto questo è sbagliato! Sei qui in questo momento, te lo sei andato a cercare consapevolmente, sai guidare la bici, hai la traccia sul Garmin, hai segni bianco-rossi da seguire, al massimo tornerai a casa più tardi del previsto. Ma ce la puoi fare”.
E’ il lato razionale del cervello che parla.
Quello che ho messo a tacere mentre, qualche ora fa, mi immaginavo proprio dove sono ora.
E così faccio.
“Più stai rilassato e meno errori fai”.
E così riesco a fare.
La distanza al punto di svolta è sempre più ridotta.
Manca ormai meno di un km.
Inizio a vedere che la forma della montagna sta cambiando.
Si aprono spiragli di luce.
Si vede il sole, che è ancora alto.
Sono ormai certo che quando lo rivedrò tornerà il buon umore.
Ci sono.
Arriva il punto di svolta, finisce per un attimo il bosco e mi trovo proprio lì, proprio qui, dove 6 anni fa con Stefano e Paolo, avevamo pensato la medesima cosa: che posto pazzesco!
Da qui non si vede elemento antropico.
Nessuna traccia di umanità.
Nessun rumore innaturale.
Vorrei restare qui più a lungo, sedermi, mangiare una barretta in questo silenzio surreale e poi iniziare questa discesa meravigliosa.
Ma preferisco limitarmi a un paio di foto, acqua (ne ho in abbondanza) e rimandare la ristorazione più avanti, quando tornerò sull’asfalto.
Non ho tutto questo tempo, ahimè.
La discesa è finalmente veloce e più facile.
La bici scorre che è un piacere.
La luce del sole illumina il sentiero.
Il grip con le foglie secche sul fondo lascia a desiderare, ma allento la pressione sulle leve dei freni al momento opportuno.
E vado giù.
Veloce, sicuro e animato da una determinazione sconosciuta.
“Ce l’ho fatta!”
Da qui in poi sono nella mia zona di comfort.
Finché le ruote riescono a girare veloci, mi dico, sono a casa mia.
Mi trovo su un sentiero CAI, il 610, che è sufficientemente largo da darti scelta nella traiettoria e lasciar scorrere le ruote.
Arrivo, in un attimo, nel punto in cui avevo attivato la navigazione sul mio Garmin.
Ho chiuso un anello niente male.
E ora viene il bello.
Su Strava ho chiamato il segmento che ho davanti Enduro Transumanza - CAI 610 ed è, per me, il sentiero più bello dalle mie parti.
Non è mai troppo ripido, né troppo tecnico, ma se sai guidare ti invita a fare traiettorie niente male e ti spara a velocità fotoniche.
L’ultima volta che l’ho percorso è stata a giugno.
E segnai un nuovo personal record.
“Sono andato davvero forte!” pensai.
Ero sempre con la stessa bici di oggi, con una forcella RockShox Domain RC da 160 mm.
Oggi ho una ZEB Ultimate da 170 mm e un ammortizzatore Superdeluxe RCT Ultimate.
Perché vi dico questo?
Perché alla luce dei risultati che Strava ha rilevato, ieri, ho ridotto il mio personal record di quasi 2 minuti e mezzo.
Due minuti e mezzo...
Un’enormità.
Sentivo di essere veloce, ma non così tanto veloce.
Sentivo di essere in totale confidenza con il mezzo e il sentiero, ma non fino a questo punto.
E non per sembrarvi sbruffone vi dirò che mi sono anche fermato lungo la discesa per rispondere al telefono.
Era mia moglie.
Erano le 19:50, ero ancora nel bosco e non potevo non rispondere.
Che cosa, ieri, mi ha trasformato in una saetta non saprei dirlo.
Quasi certamente una combinazione di fattori favorevoli.
Il mio stato di allerta trasformato in eccitazione.
Il livello di adrenalina che ne è conseguito.
La maturità ciclistica (che arriva se non altro per anzianità di servizio…).
Le qualità del mezzo.
Le teorie le lascio ad altri.
Sono un sognatore pragmatico.
Che ama le uscite solitarie che ti aggiustano la vita
Morale della favola
Il punto su cui mi viene da riflettere è che la Mtb continua ad evolvere in una maniera che rende più facile il divertimento.
Potete insultare quanto volete le Mtb elettriche, ma sono qui per mostrarci un modo alternativo di fare il nostro sport.
E sono qui per restare.
Potete pensare che le ultime novità siano solo marketing e strategie per farci spendere soldi inutilmente, ma alla fine della fiera ci danno dei vantaggi non trascurabili: fra una Mtb di oggi e una di 6-7 anni fa le differenze sono evidenti.
6 anni fa (guardate il video qui sotto), su questi sentieri non mi ero divertito così tanto e così facilmente.
E 6 anni fa avevo 39 anni.
La teoria, la consuetudine e il buon senso vorrebbero che all’avanzare dell’età l’istinto di conservazione prevalga sulla ricerca di adrenalina, rischi e pericoli vari.
Sappiate che con la mountain bike potrebbe non essere così.
Quindi, pronti a correre questo maledettamente magnifico rischio?
Qui altre Storie pubblicate su MtbCult.it
E qui di seguito un'altra storia di "esplorazione elettrica":
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Sull'autore
Simone Lanciotti
Sono il direttore e fondatore di MtbCult (nonché di eBikeCult.it e BiciDaStrada.it) e sono giornalista da oltre 20 anni nel settore delle ruote grasse e del ciclismo in generale. La mountain bike è uno strumento per conoscere la natura e se stessi ed è una fonte inesauribile di ispirazione e gioia. E di conseguenza MtbCult (oltre a video test, e-Mtb, approfondimenti e tutorial) parla anche di questo rapporto privilegiato uomo-Natura-macchina. Senza dimenticare il canale YouTube, che è un riferimento soprattutto per i test e gli approfondimenti.